É la mossa del cavallo, la trovata che scavalca gli ostacoli che finora avevano impedito un intervento in profondità sul «sistema Giustizia». Ogni volta che si era ipotizzata una separazione per legge delle carriere tra giudici e pubblici ministeri, con la istituzione di due Consigli superiori della magistratura, la reazione delle toghe era stata perentoria: non si può, non lo consente la Costituzione. La decisione del governo Meloni, assunta nel vertice di venerdì, di intervenire con una legge di riforma costituzionale azzera il problema. Se ci sono articoli della Costituzione che impediscono la separazione delle carriere, basta cambiare questi articoli: è questo, nella sostanza, l'uovo di Colombo partorito dal ministro Carlo Nordio e dal suo viceministro Francesco Paolo Sisto.
Sia Nordio che Sisto sanno perfettamente che lo svantaggio dell'operazione è costituito dai tempi e dalla complessità dell'iter per l'approvazione definitiva di un testo che, per come è stato anticipato, appare destinato a riscrivere quasi per intero gli articoli 104 e 105 della Costituzione, e forse qualche passaggio di quelli successivi. L'obiettivo del governo è di presentare in Parlamento la versione del testo prima del voto per le Europee del mese prossimo. Ma la maggioranza sa che si tratterà solo del primo passaggio di un cammino lungo e difficile, e con l'esito finale affidato quasi certamente al referendum.
É proprio il referendum confermativo lo strumento cui in queste ore stanno già pensando le toghe organizzate, di fronte al nuovo scenario aperto dall'iniziativa di Nordio e Sisto. L'intervista al Corriere di Giuseppe Santalucia, presidente dell'Associazione nazionale magistrati, ha già dato la linea: la riforma costituzionale rischia di «affondare un sistema che ha combattuto la mafia e debellato il terrorismo». Di fronte a questo pericolo, l'Anm si prepara a essere parte attiva del referendum (anche se l'ultima volta che ci ha provato, contro la responsabilità civile dei giudici, non le è andata benissimo).
Prima di parlare di referendum bisogna però che si compia un iter parlamentare che, nella migliore delle ipotesi, non potrà durare meno di un anno. Il provvedimento del governo avrà come primo approdo la commissione Affari costituzionali del ramo del Parlamento scelto dal governo: verosimilmente il Senato, perché la Camera è ancora in lista d'attesa per ricevere l'altra riforma costituzionale, l'introduzione del premierato, che affronta da mercoledì prossimo l'aula di Palazzo Madama (relatore Alberto Balboni di Fratelli d'Italia).
La riforma costituzionale richiede due passaggi in aula per ogni ramo del Parlamento, a tre mesi di distanza l'uno dall'altro: ma se il testo viene modificato, come su un tema così delicato è probabile (anche all'interno della maggioranza ci sono sensibilità diverse), si ritorna nell'altro ramo: ne sa qualcosa Matteo Renzi, che per la sua riforma dovette passare per sei voti delle Camere. E a meno che il testo non ottenga i due terzi dei voti - scenario praticamente impossibile - la riforma della Giustizia on entrerà in vigore fino all'esito del referendum che potrà venire chiesto da parlamentari, cittadini e consigli regionali.
È questa la vera battaglia che attende la riforma targata Nordio-Sisto.
Portare lo scontro pluridecennale sul tema giustizia, la lunga guerra tra giustizialisti e garantisti, davanti al giudizio degli elettori è una sfida delicata per entrambi i fronti in lizza: per l'Anm che da una sconfitta uscirebbe ridimensionata in eterno nel suo potere di interdizione, ma anche per il governo Meloni che nelle urne del «referendum Giustizia» si giocherà una parte importante della sua credibilità.
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