Si è dimesso per il clima che è «cambiato» e «perché è l'unico modo per rimanere me stesso» l'ormai ex direttore dell'Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini. Indicato da giorni come possibile federatore di un'area moderata nel centrosinistra, Ruffini esclude al momento un impegno politico: «Non scendo in campo ma rivendico il diritto di parlare» dice al Corriere annunciando il passo indietro e attaccando indirettamente Giorgia Meloni e Matteo Salvini: «Non mi era mai capitato di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato' o di sentir dire che l'Agenzia delle Entrate tiene in ostaggio le famiglie, come fosse un sequestratore». Ora che Ruffini ha lasciato sbattendo la porta, si apre la partita per la sua successione. Uno dei favoriti è Vincenzo Carbone, già direttore vicario delle Entrate «promosso» poco più di un mese fa. Per Fratelli d'Italia adesso Ruffini «ha la necessità di passare come una vittima» mentre le sue dimissioni non spaventano Forza Italia, che il centro lo occupa nell'altra coalizione, visto che certe operazioni «non si possono costruire in laboratorio». «Le dimissioni le avevo auspicate per il suo ruolo politico che mal si conciliava con una funzione così delicata - commenta il presidente dei senatori di Forza Italia Maurizio Gasparri -. La lotta all'evasione è merito del governo, non si attribuisca meriti che non ha». Pesante anche l'affondo della Lega: «Gli auguriamo le migliori fortune, ma ben lontano dai portafogli degli italiani». Un conto è la lotta all'evasione fiscale, un altro «è intimidire e minacciare i contribuenti con le oltre 3 milioni di lettere inviate sotto Natale». Rispetta le scelte di Ruffini, invece, il sottosegretario al Mef, l'esponente del Carroccio Federico Freni, che lo descrive come un «eccellente servitore dello Stato». Il presidente della commissione Finanze della Camera e responsabile economico di FdI, Marco Osnato, vede «un po' di contraddizione» nelle parole di Ruffini, che «prima evidenzia un certo malcelato disagio rispetto al fatto che doveva lavorare con una maggioranza che parlava di pizzo di Stato e che non era magari così attenta al tema dell'equità fiscale», e poi «dice che in questi anni ha avuto il massimo del risultati dalla lotta l'evasione. Quindi, nei fatti, questo governo era molto più affine a questo pensiero di quanto lui credesse». Secondo la ministra Daniela Santanchè l'ex direttore «avrà le sue motivazioni» mentre per il presidente del Senato Ignazio La Russa «ha fatto bene a dire quello che pensa». Per il dopo Ruffini, oltre a Carbone, un altro nome è quello di Roberto Alesse, direttore molto stimato dell'Agenzia delle dogane e dei monopoli. Più complicata la pista che porta verso il commissario Consob Gabriella Alemanno, la sorella dell'ex sindaco di Roma che vanta una lunga esperienza dirigenziale al ministero dell'Economia. Quanto a Ruffini, il Pd invita tutti a riflettere sulle sue parole, a partire «dagli sciagurati politicanti che usano la propaganda rozza per lisciare il pelo agli evasori» ma nel complesso rimane piuttosto cauto. Così come il leader di Azione Carlo Calenda: «Finito il tormentone del campo largo inizia quello del centro, ovviamente inteso come un cespuglio funzionale al Pd. Parliamo di cose serie».
Beppe Sala, anche lui considerato un possibile federatore, aveva parlato di Ruffini come una persona «di grandissimo valore» da non buttare, però, nel tritacarne: «Lo conoscono in pochissimi, pensare che possa avere la forza per fare il leader di quest'area significa volergli male». Ma tanto «al centro c'è Forza Italia, non vedo altre realtà» sentenzia il segretario azzurro Antonio Tajani.
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