Nella seduta inaugurale della XIX legislatura, il 13 ottobre, Ignazio La Russa è stato eletto al primo scrutinio presidente del Senato. Non era scontato. Perché solo Silvio Berlusconi e Maria Elisabetta Alberti Casellati per amicizia votarono per lui. Mentre il restante gruppo di Forza Italia depositò polemicamente scheda bianca. Ma non avevano fatto i conti senza l'oste, il predetto La Russa. Che, come mi è già capitato di dire, non sarà l'uomo della Provvidenza. Ma si è rivelato astuto uomo della previdenza. Difatti si è procurato altrettanti voti dell'opposizione e l'ha avuta vinta.
Dopo di che ha pronunciato un discorso d'insediamento degno di affissione, come si diceva nell'Ottocento. Soprattutto perché, uomo di parte, ha tenuto a sottolineare che dal seggio più alto di Palazzo Madama sarà assolutamente imparziale. Di più. Lo ha solennemente giurato, come nessuno prima di lui aveva fatto. E magari, come Fanfani e la Iotti, nel dubbio darà ragione più alle opposizioni che alla maggioranza. Come Francesco Crispi, che nel suo discorso d'insediamento dichiarò: «Dimenticherò il posto da cui venni, ricorderò quello in cui sono». E poco dopo si fece cancellare dalla chiama per dimostrare la propria terzietà. Da allora i suoi omologhi poco alla volta non presero più parte alle deliberazioni.
Fatto sta che La Russa non concepisce Palazzo Madama come una gabbia dorata. E spesso e volentieri esce dalla tana istituzionale. Ovviamente non si limita a farsi una salutare passeggiata a Roma o a Milano. Ma intende dire la sua un po' su tutte le questioni all'ordine del giorno. Ecco che all'incontro tra Silvio Berlusconi e Giorgia Meloni a via della Scrofa allo scopo di appianare le divergenze, La Russa sale le scale del Palazzo. Per andare dove? Lui appaga la legittima curiosità dei giornalisti: «Vado alla Fondazione Alleanza nazionale», sita nello stesso edificio. Ma, vedi caso, sceglie proprio quel giorno per recarvisi. Un'altra volta si presenta bel bello (si fa per dire) a Palazzo Chigi, vedi caso in occasione di una riunione nello studio del presidente del Consiglio. E anche in questo caso, pronta la risposta: «Ricambio la visita fattami da Giorgia Meloni dopo la mia elezione alla presidenza del Senato». E via di questo passo, fino alla sua presenza ingombrante alla presentazione a Milano dei candidati di Fratelli d'Italia alle prossime regionali.
Così fan tutti, si giustifica. Ma Cesare Merzagora dovette dimettersi per alcune critiche alla partitocrazia. Amintore Fanfani si dimise da presidente del Senato prima di accettare la segreteria della Dc.
E qualche predecessore di La Russa restituì la tessera di partito. Se non casti, furono almeno cauti. Non a caso La Rochefoucauld sosteneva che l'ipocrisia è l'omaggio che il vizio rende alla virtù. Dalla seconda carica dello Stato non si pretende l'ipocrisia. Ma la cautela, sì.
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