Milano. Beppe Sala sfila al corteo del «Pride Milano» con indosso una camicia con tasca arcobaleno (disegnata dal brand Msgm su sua indicazione), sale sul palco allestito sotto l'Arco della Pace e lancia la sfida al Parlamento. «Ho riattivato il riconoscimento dei figli nati in Italia da coppie omogenitoriali. Con grande gioia - annuncia il sindaco strappando le ovazioni delle migliaia di persone che ieri hanno partecipato alla parata arcobaleno dopo due anni di stop causa Covid - ho firmato ieri il provvedimento nel mio ufficio con le due mamme e la loro bimba. Una ha coltivato l'ovulo, l'altra l'ha portato in grembo, più certo di così. È un atto di buonsenso». Ma è ancora un atto contro la legge. Aveva iniziato già l'ex sindaco Giuliano Pisapia, una sentenza della Cassazione aveva dichiarato illegittimo l'adattamento di atti da parte di ufficiali di stato civile e nel 2020 era scattato lo stop. Ma Sala nel frattempo si è visto superare a sinistra da altri Comuni, compreso quello (poco distante) di Crema che nell'ultimo biennio ha continuato a registrare i bimbi nonostante il vuoto legislativo, e ha firmato gli atti per 14 coppie residenti a Milano (sette neonati all'anno), sei in arrivo da altri Comuni dell'hinterland. Sala ha deciso di non rimanere indietro e sfida Roma: «Il Parlamento doveva legiferare ma non si è mosso, ho deciso fare mia parte - spiega -. Vediamo in molte parti del mondo privazioni di diritti che si davano ormai per acquisiti, come l'aborto in Usa, quindi dobbiamo testimoniare e fare atti concreti. Sono molte le coppie che ce lo chiedono e poi vanno a far registrare i bimbi in altre città che lo fanno, quindi mi assumo una responsabilità e vado avanti. Magari tante altre città italiane seguiranno Milano». Il tribunale di Milano, dopo tre sentenze a favore aveva invece già sbloccato lo scorso ottobre le trascrizioni di figli nati all'estero, una trentina di coppie di sesso maschile a Milano hanno ottenuto l'atto.
E Beppe Sala entra anche nella decisione della Regione Lombardia di negare il patrocinio al Pride. «Ha sbagliato, non c'è ragione, lo dico al mio collega governatore Attilio Fontana - afferma -. Ha fatto un errore grave. Non deve essere un modo di dire che il sindaco è il sindaco di tutti e deve valere lo stesso per il presidente. Sappiamo che nella nostra comunità la parte Lgbtq+ è enorme, non possiamo ignorare i loro diritti. Un patrocinio si poteva dare senza grande fatica, prevalgono sempre queste spinte a guardare indietro». Regione ieri sera ha illuminato il Pirellone nei colori arcobaleno e ha inviato per la prima volta un delegato alla sfilata - era stata approvata con voto segreto una mozione M5s a cui la Lega si è fortemente opposta - ma Arcigay Milano non voleva dare la parola sul palco al rappresentante ufficiale. Fontana aveva delegato il capogruppo M5s Dario Violi, che a inizio corteo aveva contestato la scelta: «Essere qui oggi, in rappresentanza di Regione, è un risultato senza precedenti. Questa è la voce della Lombardia che vogliamo costruire e che migliaia di persone presenti in piazza avrebbero forse voluto avere la possibilità di ascoltare». In questo caso anche Sala ammette che «probabilmente era corretto farlo parlare». E alla fine gli organizzatori cedono.
Gli attacchi di Sala «sono penosi - sostiene l'assessore regionale FdI Riccardo De Corato, vicesindaco di Milano durante le giunte Albertini e Moratti -. La Regione non condivide le posizioni Lgbt minoritarie nel nostro Paese.
Vedere uomini delle istituzioni che attaccano altri uomini delle istituzioni per ragioni propagandistiche è incommentabile». Per il capogruppo della Lega in Regione, Roberto Anelli, «invece che concentrarsi sulla manifestazione per la sinistra la cosa fondamentale è attaccare l'avversario».
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