Appena il tempo di venire nominato, di cominciare a orientarsi in quell'universo malconcio e complesso che sono le carceri italiane. E per Dino Petralia, il nuovo direttore del Dap - il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria - arriva da sbrogliare la prima grossa rogna: un intero carcere fuori controllo, il «Francesco Uccella» di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, con i detenuti che attaccano gli agenti e si impadroniscono di un reparto. È una riedizione delle rivolte che tra il 7 e il 9 marzo misero a fuoco decine di carceri, e che contribuirono alla cacciata del predecessore di Petralia, Francesco Basentini. A differenza di quest'ultimo, Petralia sceglie di usare la forza: costringe i rivoltosi alla resa, li trasferisce in massa verso altri carceri, e ordina l'afflusso in Campania di ottanta nuovi Gom, le teste di cuoio della polizia penitenziaria, per garantire l'ordine non solo nella prigione casertana ma anche in altri istituti della regione che nei giorni scorsi hanno mandato segnali di insofferenza. Intorno alle 16 il Dap può dare l'annuncio: la rivolta è sedata, il reparto è stato riconquistato. Ma è la conferma che le carceri sono una polveriera in larga parte fuori controllo, pronta ad esplodere in ogni momento. E il bilancio è pesante, con otto uomini della polizia penitenziaria in ospedale per le aggressioni dei ribelli.
La rivolta di ieri è in qualche modo la conseguenza diretta di quella del 9 marzo, quando anche a Santa Maria Capua Vetere i detenuti avevano preso il possesso dei reparti dandosi a violenze e devastazioni. A finire sotto indagine, però, non furono i reclusi ma gli agenti della «penitenziaria» intervenuti per riportare l'ordine, cui la Procura giovedì scorso manda quarantaquattro avvisi di garanzia per tortura, violenza privata e abuso d'autorità: un blitz che avviene con modalità che i sindacati degli agenti definiscono «sconvolgenti», con i carabinieri che fermano con posti di blocco i colleghi che entrano in servizio, in mezzo ai parenti dei detenuti in attesa di colloquio. Per protesta, una decina di agenti sale sul tetto del carcere, e solo a fatica vengono convinti a scendere. «La verità - scrive uno dei sindacati, il Sappe - è che ormai comandano i detenuti».
E la risposta dei detenuti, in effetti, non si fa attendere, come se davvero volessero dimostrare chi comanda alla «Uccella». A guidare i disordini sono i duri del «Danubio», il reparto dove sono arrivati dopo il 9 marzo i capi della rivolta nel carcere di Foggia. Venerdì mattina vengono aggrediti e feriti sei agenti tra cui un comandante, la cosa sembra finire lì, invece alle due di ieri mattina parte il caos, in cinquanta si impadroniscono del «Danubio», a guidare la rivolta è lo stesso detenuto protagonista del ferimento di poche ore prima nel reparto «Danubio».
Le rivendicazioni sono le solite, il ripristino dei colloqui dal vivo, le scarcerazioni in nome del coronavirus. Che all'interno il virus sia circolato pesantemente d'altronde è vero, ne sa qualcosa l'ex deputato del Pd Paolo Ruggirello che nella sua cella di Santa Maria Capua Vetere se l'è preso ed è dovuto stare due mesi in ospedale. Ma ormai anche il virus è un pretesto, quello che interessa ai capi della rivolta è dimostrare il loro potere.
Da Roma, Petralia spedisce d'urgenza alla «Uccella» il suo vice Roberto Tartaglia, poi anche lui raggiunge il carcere. Nel «Danubio» è tornata la calma, ma il caso non è chiuso.
Anche perché l'inchiesta a carico dei 44 agenti di Santa Maria Capua Vetere scaturisce da una denuncia di «Antigone», una associazione che difende i diritti dei detenuti: e che proprio Petralia il 22 maggio scelse non solo di incontrare ma di elogiare pubblicamente, dicendosi «ammirato» per il suo operato e parlando di una «sinergia» con il Dap. E già allora i sindacati si dichiararono «sorpresi e stupiti» dalle parole del nuovo capo.
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