Quando era stato sanzionato dalla Ue e dalla Gran Bretagna, Mikhail Friedman, insieme al socio Petr Aven padrone di una delle maggiori banche russe, Alpha Bank, si era lamentato rumorosamente. Diceva di non avere più i soldi per mantenere la sua casa, enorme villa vittoriana nei dintorni di Londra, pagata 65 milioni di sterline; in più senza autista non era in grado nemmeno di muoversi visto che non ha mai preso la patente.
Allora, più o meno allo scoppio della guerra in Ucraina, le sue parole avevano suscitato ironia e indignazione. Gli inglesi gli avevano concesso un reddito mensile di 2mila sterline e gli avevano suggerito di usare i mezzi pubblici.
Ora, però, la Corte di Giustizia Europea ha dato a ragione a lui e al suo socio. È vero, dicono i giudici, Friedman e Aven appartengono al circolo dei sostenitori di Putin e del suo regime, ma non sono state fornite prove sufficienti del fatto che le loro azioni abbiano effettivamente contribuito a danneggiare l' Ucraina.
Dal punto di vista sostanziale per i due non cambia molto. Friedman, doppia cittadinanza russa e israeliana, tornato in Russia pochi mesi dopo lo scoppio della guerra e Aven, residente in Lettonia, Paese di cui è cittadino, restano nel mirino delle sanzioni inglesi e di un ulteriore provvedimento sanzionatorio europeo, oggetto di un altro procedimento (la sentenza resa nota ieri si riferisce al periodo fino al settembre 2023) .
Il provvedimento dei giudici europei ha però attirato l'attenzione perchè apre potenzialmente le porte ai ricorsi di tutti gli altri oligarchi presi di mira: in tutto circa 1.700 persone (con 400 società) oggetto degli strali di Bruxelles .
Non a caso le reazioni sono state contrapposte. Il portavoce del Cremlino Dmitri Peskov ha detto di considerare «in ogni caso, tutte queste sanzioni illegali, ingiuste, distruttive e anche vergognose». I dissidenti, con in testa Yulia Navalnaya, moglie del dissidente morto in carcere, hanno espresso la loro preoccupazione definendo la decisione un aiuto a Putin: «Nè Friedman né Aven hanno fatto dichiarazioni contro la guerra, né hanno tentato di porvi fine», ha detto Yulia Navalnaya. «Hanno semplicemente assunto avvocati molto costosi e trovato buoni lobbisti. Per gli oligarchi tutto si risolve con il denaro».
Il trattamento sanzionatorio dei miliardari russi rimane una questione aperta. Pochi tra di loro, chi in qualche modo si è esposto nella condanna del conflitto, ha visto revocare i provvedimenti a proprio danno. Ma tra gli analisti c'è chi ha iniziato a ipotizzare un diverso trattamento, meno penalizzante, ma forse più utile per evitare di compattare i loro interessi con quelli del Cremlino.
Alexandra Prokopenko, dirigente della Banca centrale russa dimissionaria allo scoppio del conflitto, oggi in Germania, ha proposto di favorire, azichè ostacolare i trasferimenti di denaro degli oligarchi verso l'Europa. «Dobbiamo stimolare il deflusso di capitali dalla Russia. Ogni miliardo in meno a Mosca equivale a un minor sostegno per la guerra».
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