«Fi..., 'sti cog... dell'Inps hanno accettato le domande dei rumeni!». È il 17 maggio scorso quando Oscar Nicoli, specialista dell'assistenza fiscale agli immigrati, manifesta il suo stupore. Persino per lui, che delle truffe allo Stato italiano ha fatto un business, la facilità con cui l'Inps si fa beffare dagli imbroglioni del reddito quel giorno appare stupefacente. Ieri Nicoli finisce in galera, insieme ad altri quindici complici. E la retata e le intercettazioni fanno irruzione nello scontro politico sulla legge-simbolo del Movimento 5 Stelle.
Perché la rete scoperchiata dalla Guardia di finanza milanese non è fatta di abusi isolati, come ne sono emersi a raffica un po' ovunque nei mesi scorsi. A venire colpita è una associazione criminale strutturata e organizzata, con rami in Italia e all'estero. E le carte dimostrano la vulnerabilità totale del sistema, l'assenza quasi grottesca di controlli. Novemila domande accettate, quasi tutte di rumeni spesso che non hanno mai messo piede in Italia. Cinquantasei milioni di euro autorizzati, erogati solo in parte grazie all'intervento delle «Fiamme gialle». Ma un numero incalcolabile di milioni è comunque uscito: almeno, si stima, 14 milioni e 600mila euro. E sono soldi che lo Stato non rivedrà mai più.
Ci sono storie di ogni genere, nell'ordinanza di custodia chiesta e ottenuta dal pm milanese Paolo Storari. Quella di due città rumene, Cariova e Sadova, dove da mesi centinaia di abitanti che non hanno mai visto l'Italia campano grazie al reddito grillino. Le storie di tre palazzi milanesi, nella banlieue di piazzale Selinunte, dove risultano abitare centinaia di rumeni che non ci sono mai stati, tutti percettori di assegno senza che l'Inps trovi strana la cosa. Quella dell'impiegato dell'Agenzia delle entrate di Barletta che si prestava a sfornare codici fiscali per rumeni che non aveva mai visto per la miserabile tangente di cinque euro a codice. E la storia più incredibile e tragica, quella di Lavinia Aiolaiei, ragazzina rumena di appena diciott'anni, ammazzata da un cliente nel 2013 vicino Lodi: a suo nome hanno intascato per anni il reddito, anche se Lavinia non c'era più.
Tutto ruota intorno a una agenzia di patronato, la Nova servizi, e al suo capo Oscar Nicoli: l'agenzia è controllata dal Movimento cristiano dei lavoratori, l'associazione nata da una scissione a destra delle Acli negli anni Settanta. Ma di cristiano, nelle pratiche indagate dalla finanza, si respirava poco: l'obiettivo era solo procacciare il reddito a rumeni senza volto, esistenti solo nelle fotocopie dei documenti e a volte neanche in quelle. Come ha raccontato un impiegato dell'agenzia: ognuno dei procacciatori «si presentava presso i nostri uffici ogni 15/20 giorni e presentavano in media circa 20/30 carte di identità remote in fotocopia (...) la prassi è quella che prima facevamo l'Isee, praticamente quasi sempre pari a zero (...) i soggetti rumeni che mi consegnavano i documenti di identità a volte non avevano neanche le fotocopie degli stessi ma avevano delle immagini conservate sul proprio cellulare». Tutte prassi in violazione totale delle procedure previste dalla legge sul reddito, che richiedono la presenza fisica: ma chi controlla? Aiutini anche all'interno delle Poste: per ritirare la prepagata su cui viene accreditato il reddito in teoria serve esibire all'ufficio un codice ricevuto sul cellulare, ma un altro impiegato racconta che «Ispas mi aveva riferito che lui era in grado di ritirare le tessere in posta». Come faceva? E come faceva un altro dei faccendieri a accedere al sistema interno dell'Inps con l'elenco dei versamenti erogati, «tuto coanto, i soldi sono dentro»? D'altronde il cellulare indicato all'Inps per ricevere il codice era sempre lo stesso per otto, nove, dieci richiedenti. Neanche questo ha mai insospettito nessuno.
L'ombra di «manine» interne agli uffici c'è, e d'altronde anche il giudice che dispone gli arresti parla di «rapporti corrotti e soggetti compiacenti». Ma quello che emerge dalle carte è sopratutto il ritratto di un sistema dove i controlli di fatto non esistono. E dove può accadere persino che, oltre ai poveri morti come Lavinia Ailoaiei, ottengano e percepiscano il reddito anche delinquenti colpiti da ordine di cattura come Costel Bosnea: il mandato di arresto è del gennaio 2019, l'Inps continua a mantenerlo fino a due mesi fa.
Il meccanismo della truffa è così banale («arrivavano tantissime persone rumene senza appuntamento con blocchetti di carte di identità di altre persone ovvero liste di nomi e dati», ha raccontato un'altra impiegata della Nova Servizi) che l'unica difficoltà per il clan era trovare agenzie disposte a metterla in atto, a chiudere un occhio davanti a quei pacchetti di documenti fotocopiati, a volte quasi illeggibili. Al punto che quando in un centro di assistenza, controllato da sudamericani, fanno un po' di storie, i faccendieri rumeni arrivano là, urlano, spaccano, minacciano. «Fate come diciamo noi e vivrete tranquilli», dicono.
Il sistema, raccontano le indagini, è quello.
Una macchina che si è inserita con brutale efficienza in un provvedimento nato per aiutare chi era davvero in difficoltà. «Il gruppo criminale - scrive il giudice - ha dimostrato proficua organizzazione, estrema professionalità nel delitto e proclività a delinquere». Ma lo Stato gli ha dato una mano.
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