No, e ancora no. Semaforo rosso alla separazione delle carriere e ai referendum sulla giustizia. Area, l'ala sinistra della magistratura italiana, si schiera contro le riforme e contro il cambiamento. C'è stato il caso Palamara e le sue chat hanno affondato il Csm; poi è esplosa la guerra per fazioni innescata dei verbali dell'avvocato Amara e Greco si è scontrato con Davigo. Il cartello dei giudici progressisti però non si sposta di un millimetro dalle sue vecchie posizioni e questo nel giorno in cui l'Unione delle Camere penali conferma per acclamazione alla presidenza Gian Domenico Caiazza.
Caiazza è l'avvocato che ha condotto duelli infiammati contro Piercamillo Davigo sugli schermi di Piazzapulita ed è il penalista che si è opposto in tutti i modi alla riforma Bonafede e allo scempio della prescrizione. A luglio, quando si era capito che il vento stava cambiando, Caiazza aveva esultato con toni sarcastici: «Oggi il forcaiolismo italiano è listato a lutto, la riforma della prescrizione è finalmente deceduta». Qualche anno fa, il congresso dei penalisti e le loro fiere dichiarazioni sarebbero finiti in una breve, oggi la magistratura sprofonda in una crisi senza precedenti e l'avvocatura risale sulla bilancia.
Per carità, il sistema è sempre quello di prima, le correnti spadroneggiano e il tavolo delle spartizioni non è finito in soffitta, ma è in atto nel Paese una riflessione generale che si apre a ventaglio: vanno in pezzi le icone del giustizialismo, si riaprono i cassetti in cui giacciono polverosi progetti che cercano nuova vita, arrivano sentenze, come quella di Palermo sulla trattativa Stato-mafia, che mettono in discussione i dogmi del giacobinismo tricolore.
Il Paese matura una sensibilità diversa e Caiazza diventa uno degli alfieri di questa revisione: «La prima riforma - ha spiegato nei giorni scorsi al Riformista - è l'adozione di iniziative volte a riequilibrare il rapporto fra poteri dello Stato, agendo sullo squilibrio di potere giudiziario che interviene pesantemente, condizionandoli, sia sul potere legislativo che su quello esecutivo».
Un discorso, se vogliamo, molto politico, nel senso che i partiti ci hanno sempre girato intorno eludendo ogni soluzione, subito seguito da una richiesta precisa e dirompente: «Noi proporremo il divieto del distacco dei magistrati fuori ruolo presso l'esecutivo. Questa è la prima e ineludibile riforma dell'ordinamento giudiziario. Non esiste in nessun Paese del mondo che la magistratura occupi in modo militare il ministero della giustizia e anche altri dicasteri».
Ecco chi è il leader, anche mediatico, incoronato per la seconda volta di fila e chiamato a regnare fino al 2023. L'avvocatura guadagna dunque autorevolezza e prova a scrollare il Paese che sul capitolo giustizia non è riuscito a fare passi in avanti dopo la tempesta di Mani pulite. Invece, Area, la gloriosa fucina delle toghe rosse, si arrocca e priva a difendere quel che scricchiola: «Esprimiamo fin d'ora la nostra netta contrarietà - affermano le toghe a conclusione della loro convention - alla proposta di riforma costituzionale relativa alla separazione delle carriere e ai quesiti referendari che costituiscono un tentativo surrettizio di modificare l'assetto dei poteri ordinamentali tracciato dalla Costituzione».
Area
si impegna dunque a guidare il partito del no: «Ci impegneremo con la società civile per informare l'opinione pubblica sul significato distorsivo dei referendum». Ma questa volta, per la prima volta, la partita è incerta.
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.