Lo schiaffo di Cingolani agli ambientalisti radical chic

Secondo il Ministro della transizione ecologica Cingolani gli "ambientalisti radical chic" sono "peggiori della catastrofe climatica" e parte del problema", occorre però andare avanti in un confronto che "non sia ideologico". Eppure un'alternativa esiste e si chiama conservatorismo verde

Lo schiaffo di Cingolani agli ambientalisti radical chic

Il ministro della transizione ecologica Cingolani, nei pochi mesi trascorsi al dicastero ambientale, deve essersi imbattuto in situazioni e persone talmente paradossali che il suo livello di saturazione verso un certo ambientalismo ideologizzato ha già raggiunto il limite.

Intervenendo a un evento di Italia Viva, il ministro ha affermato: "Il mondo è pieno di ambientalisti radical chic ed è pieno di ambientalisti oltranzisti, ideologici: loro sono peggio della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati, se non facciamo qualcosa di sensato. Sono parte del problema, spero che rimaniate aperti a un confronto non ideologico, che guardiate i numeri. Se non guardate i numeri rischiate di farvi male come mai successo in precedenza”.

Parole tanto forti quanto veritiere a cui è seguito un monito contro l’ideologizzazione della tematica ambientale: “nell'interesse dei nostri figli è vietato ideologizzare qualsiasi tipo di tecnologia. Stiamo ai numeri, quando saranno disponibili prenderemo le decisioni".

Non si è fatta attendere la levata di scudi dei Verdi nella persona di Bonelli che ha accusato Cingolani di insultare gli ambientalisti e di mancare di rispetto a “una comunità di persone nel nostro paese”. In realtà il ministro non si è riferito agli ambientalisti tout court quanto a un gruppo preciso di ambientalisti da lui definiti “radical-chic”. D’altro canto come dargli torto? Nonostante la tutela ambientale rappresenti un tema comune a tutti i cittadini a prescindere dal loro credo politico, è sotto gli occhi di tutti l’ideologizzazione che è avvenuta negli ultimi anni in Occidente e l’Italia non è da meno. È sufficiente affermare che ambiente e nazione non sono due concetti antitetici, che la transizione ecologica non può non tener conto delle esigenze delle imprese e degli imprenditori, che non si possono cancellare tradizioni e usanze secolari in nome di un non meglio precisato ambientalismo, per essere tacciati di non aver a cuore l’ambiente o di sminuire le conseguenze del cambiamento climatico. La realtà è ben diversa e, se anche un ministro non certo politico ma tecnico come Cingolani, arriva a pronunciare le parole che abbiamo ascoltato, significa che le pressioni e i tentativi di orientare in una certa direzione la transizione ecologica da parte di certi ambientalisti sono molto forti.

D’altro canto, il tentativo di imporre temi che nulla hanno a che fare con l’ambiente con la scusa della riconversione energetica, è una tendenza in atto da molto tempo ma che ha subito un’accelerazione negli ultimi anni a causa della commistione con interessi di carattere economico. Le energie rinnovabili, così come la transizione ecologica, sono un business da miliardi di euro e, dietro le buone intenzioni, spesso si nascondono secondi fini o interessi di altro genere.

Cingolani, oltre ad aprire all’energia nucleare di nuova generazione, ha posto enfasi sulla necessità di una transizione graduale: “la transizione ecologica deve essere sostenibile sennò non si muore di inquinamento, ma di fame. Serve una transizione con la decarbonizzazione e il freno alla produzione di Co2, ma che dia tempo alla società di adeguarsi a queste trasformazioni. Non si può ridurre la Co2 chiudendo da domani le fabbriche di auto, mettendo sul lastrico milioni di famiglie".

Si tratta di un approccio molto simile a una visione di conservatorismo verde che si è affermata in Italia negli ultimi anni per offrire un’alternativa a quell’ambientalismo radical chic che fino a poco tempo fa veniva considerato dominante e privo di altre possibilità ma che, ci si sta accorgendo, rischia di essere non

solo su molti temi utopico e irrealistico ma anche controproducente. Una soluzione esiste ed è un ecologismo che coniughi le esigenze della natura con quelle dell’uomo e che abbia davvero a cuore le sorti della nostra terra.

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