La Schlein "grillina" copia Mélenchon: blocco compatto ma votato alla sconfitta

Anche se il campo largo arrivasse al 40%, il veto sui centristi lo renderebbe meno competitivo a partire dalle Regionali

La Schlein "grillina" copia Mélenchon: blocco compatto ma votato alla sconfitta
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La scelta Elly Schlein l'ha fatta all'esordio della sua esperienza di segretaria del Pd: una svolta a sinistra nella linea del partito con accenti grillini. In fondo la sua nomina - molti non lo ricordano - fu determinata anche da elettori grillini ( la tecnica dell'«entrismo» cara ai trotzkisti) che parteciparono alle primarie del Partito democratico. Un marchio di fabbrica che Elly non ha dimenticato. Addirittura con la tecnica dell'Aventino nell'elezione del nuovo consiglio d'amministrazione Rai e la rinuncia ad un rappresentante dentro l'organismo di vertice della Tv pubblica, è andata anche oltre il rituale 5stelle visto che Giuseppe Conte non ci ha pensato due volte ad accaparrarsi una poltrona là dentro. E poi il pacifismo di maniera sulle armi, la polemica sulla manovra economica dai toni accesi e populisti, o, ancora, i giudizi negativi espressi su Raffaele Fitto senza però arrivare a pronunciare il fatidico «no» (molti dei suoi non lo capirebbero) alla sua nomina a vicepresidente della Commissione Ue. Anche il linguaggio, la comunicazione ricorda quello grillino o della sinistra «dura e pura» appena appena riveduto e corretto in una versione più forbita. E naturalmente non manca il populismo servito a piene mani. Nel suo mirino erano finiti specie all'inizio della sua esperienza da segretaria i privilegi, gli stipendi, i benefit e le pensioni dei parlamentari nonché dei manager pubblici.

Un'operazione quella della Schlein voluta e studiata a tavolino per prendere quel pezzo di elettorato che attratto dal populismo di sinistra ha ingrassato le file della sinistra radicale e del partito di Giuseppe Conte. Un'operazione che è riuscita, e bene, nelle elezioni europee dove il Pd ha superato la quota del 22%, un risultato su cui nessuno avrebbe scommesso, ma che ora comincia a stentare. Nei sondaggi delle ultime settimane i 5stelle sono tornati a salire mentre il partito di Elly ha imboccato una traiettoria discendente. Inoltre il «non voto», cioè il numero degli elettori che si rifugiano nell'astensione perché non si riconoscono in nessuna offerta politica è continuato a crescere: ora secondo la maga dei sondaggi Alessandra Ghisleri ha toccato il 51%, di fatto sono la maggioranza del Paese.

Se si coniugano questi due dati si arguisce il fenomeno in corso. Alla lunga, come avviene sempre in questi casi, finisce per prevalere sempre l'originale: tra il grillismo puro e la Schlein grillina quei mondi preferiscono il primo. O meglio, a seconda degli impulsi e dei meccanismi emotivi, prevale a secondo dei momenti questo o quel partito nel recinto del populismo di sinistra. Ma anche le percentuali sono altalenanti ciò che conta è che la somma dei tre partiti - pd, grillini e sinistra radicale - non cambia. Anzi, si riduce la capacità di rappresentanza del fu (almeno per il momento) «campo largo». Non per nulla cresce l'area del non voto.

Alla fine questo agglomerato somiglia molto al modello Mélenchon: uno schieramento compatto, che si aggira intorno al 35-40% ma votato alla sconfitta. Lo si vedrà nelle prossime elezioni regionali: un mese fa qualcuno teorizzava un tre a zero per il centro-sinistra contro il centro-destra; ora è certa la sconfitta in Liguria e molto probabile quella in Umbria.

La ragione è semplice con il veto su Renzi e la trasformazione del segmento centrista o moderato ad un elemento di corredo o di testimonianza, per non parlare della progressiva assenza di peso dell'area riformista del Pd, sta avvenendo al di là delle intenzioni un processo di trasformazione della coalizione di centro-sinistra in uno schieramento di sinistra, appunto, alla Mèlenchon. C'è stata una fuoriuscita di parlamentari a destra e a sentire Carlo Calenda, semprechè le parole abbiano ancora un senso, non è per nulla detto che il campo largo possa avere una gamba centrista. «Io non sto nel campo largo - sostiene il leader di Azione - e non entrerò nel campo largo.

Mi limito a cercare di dire la verità, votare provvedimenti giusti e proporre cose sensate. Fine. Il che ovviamente non garantisce alcun successo elettorale. Ma questo ho promesso agli elettori». Dal «campo largo» al «campo monco» il passo è davvero breve.

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