
La fine della frustrazione. Questa la giornata post elettorale per l'ormai ex cancelliere Olaf Scholz, stretto nella morsa dei voti perduti. L'Spd è di fatto già entrata in una fase cuscinetto con una sconfitta oggettiva. «Il peggior risultato della nostra storia», dicono ai piani alti del partito a causa del meno nove punti rispetto a quattro anni fa, con l'ex presidente del Bundestag, Wolfgang Thierse, che consiglia di fare autocritica e concentrarsi sulle vecchie competenze fondamentali.
Al di là delle dichiarazioni di facciata (Scholz vuole «terminare degnamente» il suo mandato al governo), la resa di conti nella Spd è ormai il tema principale nei comitati del partito, dove più di qualcuno avrebbe voluto un suo passo indietro immediato, come fatto dai vertici dei liberali Fdp, Christian Lindner e Marco Buschmann, secondo cui «se si ha una responsabilità, bisogna anche trarne le conseguenze». Non la pensa così Scholz che resta sulla sua poltrona.
Tira bordate il presidente dei giovani socialisti Philipp Türmer, da mesi dubbioso sulla ricandidatura di Scholz, secondo cui un altro errore è stato commesso domenica scorsa: la scelta del nome di Lars Klingbeil alla presidenza del gruppo parlamentare, già annunciato la sera delle elezioni, sbagliata per tempi e modi, per cui chiede già oggi una riorganizzazione programmatica completa. «Questa è una priorità e, in base a ciò, deve essere implementata una nuova struttura del personale. L'intera campagna è stata un vero e proprio ostacolo». «La Spd deve chiedersi se ha ancora le risposte giuste a tutte le domande», osserva ficcante Stephan Weil, il ministro presidente della Bassa Sassonia, un land che già alle scorse elezioni regionali aveva visto il crollo dei partiti della coalizione semaforo e che domenica ha fatto segnare per la Spd meno 10,1% rispetto al 2021.
Il quarto esponente socialdemocratico nella storia della Repubblica Federale a ricoprire la carica di cancelliere verrà ricordato come il protagonista della crisi dell'automotive, con i colossi tedeschi che chiudono fabbriche e licenziano lavoratori a causa del corto circuito dato da crisi energetica e dottrina Timmermans sulle elettriche. Detto di Audi e Porsche, tentate dall'aprire stabilimenti negli Stati Uniti per sfuggire ai dazi di Trump producendo negli Usa, Volkswagen da mesi ha annunciato lo smantellamento di tre poli produttivi: sono le prime chiusure di sedi su suolo tedesco negli 87 anni di attività del marchio. Inoltre, da un punto di vista squisitamente economico il cancelliere socialista non è stato capace di utilizzare il surplus di bilancio fatto per svariati anni dal duo Merkel-Schaeuble per reinvestirlo a vantaggio di famiglie, imprese, lavoratori.
La Spd depurata di Scholz probabilmente sarà l'alleato principale di Friedrich Merz e della Cdu nella nuova «grande coalizione» che guiderà la Germania, ma pienamente consapevole che poco potrà influire su programmi e decisioni a causa della debacle dell'ultimo quadriennio.
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