Più volte consigliere comunale a Roma, poi parlamentare e infine governatore dal 2019. Marco Marsilio è riuscito, cinque anni fa, a strappare l'Abruzzo al centrosinistra. Impresa allora tutt'altro che scontata. Oggi torna a chiedere il giudizio delle urne per la riconferma. Con un vento tutt'altro che contrario stando agli ultimi sondaggi.
Con la sconfitta di Truzzu in Sardegna è cambiato qualcosa nella sua campagna elettorale?
«Si sono ringalluzziti i miei avversari che pensano che qui si possa replicare. Tutto qui. Sapevamo che comunque fossero andate le elezioni in Sardegna, l'Abruzzo - dopo - sarebbe divenuto il nuovo centro dell'attenzione politica. Ogni volta che si vota in una Regione scatta il test per verificare gli equilibri tra i partiti».
Si sente l'uomo che deve impedire al centrodestra di replicare una seconda sconfitta?
«Non mi dispiace affatto. Ho scelto nella mia vita di stare in prima linea. Sarò felice di spegnere subito questo fuoco di paglia e di ristabilire il sereno».
L'assenza del voto disgiunto è davvero, come dicono in molti, un vantaggio?
«Un vantaggio lo è senza dubbio per D'Amico. Perché molti a sinistra non sopportano più la vecchia classe dirigente come molti grillini mal digeriscono l'alleanza con Luciano D'Alfonso avrebbero potuto votare per me.
Da Conte a D'Amico, in molti nel centrosinistra parlano del finanziamento della Roma-Pescara come di un regalo elettorale.
«Hanno la colpa di aver prodotto il disastro economico e politico che ha costretto Rfi a rinunciare ai fondi del Pnrr perché impossibilitata a raggiungere l'obiettivo prefissato. E comunque preferire di veder sfumare quei fondi soltanto per fare una campagna elettorale nel segno della lagna descrive perfettamente i miei avversari».
Nel centrosinistra ostentano ottimismo sottolineando che in Abruzzo si sperimenta un campo «larghissimo» che accoglie tutti: da Speranza a Renzi, passando per Conte e Calenda.
«Più che campo larghissimo lo definirei un campo abnorme».
Non la preoccupa?
«Da quando hanno formalizzato l'alleanza ho raccomandato a tutti di non prendere sotto gamba l'avversario. Ora parte della nostra campagna elettorale è dedicata a far emergere la grottesca situazione che vede Conte dichiararsi mai alleato di Calenda; questi che gli risponde dandogli del bugiardo; Renzi che si rifiuta di andare dove ci sono i grillini. E su tutti poi c'è D'Amico che non vuole mostrarsi con i big».
Segno di autonomia?
«Più che altro una scelta obbligata visto che loro stessi faticano a farsi vedere uniti. Da noi, invece è tutto diverso. Sono fiero di accogliere sul palco Meloni, Tajani e Salvini. Noi siamo orgogliosi dei nostri leader. Da persone normali siamo contenti che la nostra alleanza porti avanti i suoi progetti in maniera diretta e trasparente»
Cosa ha ereditato dal suo predecessore? E cosa erediterà da lei il governatore che uscirà dalle urne domenica prossima?
«Ho ereditato quattro bilanci regionali con i rendiconti non approvati non parificati dalla Corte dei conti e lascio un bilancio sano e 400 milioni di debiti pagati. Riguardo la sanità ho ereditato zero progetti per l'edilizia sanitaria e consegno mezzo miliardo di fondi per l'edilizia sanitaria e progetti approvati con gare d'appalto in corso».
La sua amicizia con la Meloni è trentennale. Si immaginava quando l'ha conosciuta che avrebbe potuto diventare premier?
«L'immagine
vincente di Giorgia, che poteva essere il leader di tutto il centrodestra, l'ho avuta nel 2012 quando la candidammo alle primarie del Popolo delle libertà. Poi Berlusconi non volle farle e noi fondammo Fratelli d'Italia».
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