L'ennesima puntata dello scontro tra Enrico Letta e Matteo Salvini è solo un'altra tappa della lunga corsa a intestarsi l'agenda Draghi. Un vero e proprio inseguimento che - a dire il vero - coinvolge tutti i partiti della maggioranza, pronti a fare a gara per appropriarsi di questo o quel provvedimento. E se, qualche giorno fa, sulle riaperture è toccato al centrodestra, ieri sul dl Sostegni è stata la volta del Pd. Che ha, però, anche un problema di convivenza politica con quello che Letta considera l'alleato decisamente più ingombrante dell'insolita maggioranza che sostiene l'ex governatore della Bce. Di qui la scelta di continuare a ribadire la distanza con il leader della Lega. Cosa che ieri Letta ha fatto anche nel faccia a faccia a Palazzo Chigi con Mario Draghi. Incontro nel quale ha «espresso insoddisfazione per il metodo Salvini», perché «non è possibile continuare a stare con un piede nel governo e con l'altro piede fuori». Riflessioni che sono filtrate proprio dal Pd, perché l'obiettivo del segretario dem è quello di tranquillizzare la sua base elettorale, non certo entusiasta dalla inattesa convivenza con la Lega.
In verità, Letta sta ragionando anche su un'operazione di più lungo respiro. Non si illude che davvero i suoi affondi possano portare Salvini a una reazione scomposta che cambi oggi gli equilibri della maggioranza, ma punta a lasciarlo all'angolo domani nella decisiva partita per il Quirinale. Che si aprirà a febbraio del prossimo anno, ma che entrerà nel vivo già dal 3 agosto, quando inizierà il semestre bianco. All'ex premier, infatti, non dispiacerebbe eleggere il successore di Sergio Mattarella con la cosiddetta «maggioranza Ursula», provando dunque a lasciare Salvini alla finestra. In questo modo, non solo Draghi resterebbe a Palazzo Chigi - sventando scenari di voto anticipato - ma Letta porterebbe a casa un indubbio successo. E un nome che potrebbe facilitare un simile percorso è quello dell'attuale ministro della Giustizia, Marta Cartabia, prima donna a presiedere la Corte Costituzionale.
Salvini - che chiederà un incontro a Draghi, possibilmente in settimana - ha però ben chiaro lo schema. E visto che una delle ragioni che lo hanno convinto a entrare nel governo è proprio la possibilità di giocare in prima linea la partita del Colle, difficilmente si farà mettere all'angolo. Il leader della Lega continua a bollare quelli di Letta come dei «tentativi di provocare un fallo di reazione che non arriverà». E sull'elezione del successore di Mattarella non ha dubbi. «Abbiamo il secondo gruppo parlamentare più numeroso sia alla Camera che al Senato.
E, come centrodestra, governiamo 14 regioni su 20, che ci attribuiscono un corposo numero di delegati regionali quando si voterà il presidente della Repubblica. Insomma - è il senso del ragionamento che ripete Salvini con i suoi collaboratori più stretti - saremo noi e non il Pd a dare le carte».
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