In un paese come l'Italia - dove anche il più inutile degli inutili peones parlamentari si ritiene fondamentale per le sorti del Paese - prevedere deroghe di legge in base alla (presunta) «indispensabilità dell'attività professionale svolta», è un tentativo fallimentare in partenza.
Ma a cosa ci riferiamo? Alla scuola. Sempre in bilico tra chiusura e semi-chiusura, ma accomunata da un unico fattore «emotivo»: la perenne incazzatura dei genitori-lavoratori che, con le aule sbarrate, si ritrovano nell'estrema difficoltà di gestire i figli; e più i figli sono piccoli, più i problemi aumentano.
A lungo si è creduto che la scuola fosse una zona franca rispetto al contagio, i fatti hanno dimostrato il contrario. Varianti-Covid e nuove ondate pandemiche stanno trovando proprio fra i banchi focolai di espansione, con l'età degli infettati che si sta abbassando pericolosamente senza fare sconti neppure ai bambini. Un dato statistico allarmante che angoscia i genitori, alle prese però spesso con un'altra tragedia: l'impossibilità di tenere i figli piccoli con sé durante l'orario di lavoro, pena il rischio di rimanere disoccupati. Anche per questo in tanti - forse troppi - hanno deciso legittimamente (o no?) di ricorrere a una «scappatoia» prevista dal Ministero della Pubblica istruzione e inserita nell'ultimo (ma per lui primo) Dpcm del premier Draghi. In realtà la «clausola» risale al novembre 2020 (epoca-Gelmini) e prevede la «scuola in presenza anche in zona rossa, dove per ragioni di sicurezza sia stata approntata la didattica a distanza». Possibilità riservata - «su richiesta della famiglia» - per i figli di «medici, infermieri e dei lavoratori indispensabili». Eccola la parola dello scandalo: «indispensabile». Chi è che oggi, in Italia, svolge un «mestiere indispensabile»? E chi decide se un mestiere è realmente tale? Alla prima domanda il ministero dell'Istruzione ha cercato all'inizio di rispondere stilando un elenco di «mestieri» (forze dell'ordine, insegnanti, operatori di Rsa) che però di giorno in giorno - sotto la spinta corporativa delle varie categorie professionali - si è ampliata a dismisura, tanto che oggi praticamente nessuna tipologia è rimasta fuori dall'infamante black list dei lavori non indispensabili (quindi «inutili»?). La circolare scritta dal ministero dell'Istruzione ai tempi della Gelmini e ora confermato dal neo-ministro Patrizio Bianchi, recita testualmente: «Le disposizioni del Piano Scuola 2020-2021 garantiscono la frequenza scolastica in presenza degli alunni e studenti figli di personale sanitario o di altre categorie di lavoratori le cui prestazioni sono indispensabili per la garanzia dei bisogni essenziali della popolazione»; e poi: «Garantita la didattica in presenza anche agli alunni con disabilità o con bisogni educativi speciali». Tutto giusto, peccato però che da giorni le segreterie delle scuole siano inondate da richieste da parte di genitori che non hanno i requisiti richiesti. La conseguenza paradossale è che, alla luce dell'inevitabile caos burocratico, anche gli aventi diritto potrebbero non beneficiare della deroga che spetterebbe loro. Altro rebus: se i docenti sono impegnati «da remoto», chi seguirà quei bambini che otterranno di fare lezione «in presenza»? Intanto da domani nelle regioni più a rischio contagio 6 milioni di studenti torneranno alla didattica a distanza.
L'Associazione presidi è furibonda: «Non possono essere le singole scuole a stabilire se un bambino è effettivamente figlio di genitori che svolgono o no un lavoro indispensabile. Il timore di adottare decisioni discriminatorie è altissimo».Indispensabile fare chiarezza.
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