Galeazzo Bignami, capogruppo di FdI alla Camera. Qual è lo stato di salute del partito all'indomani della Direzione nazionale?
«Ricordo che quando eravamo all'opposizione ci dicevano: parlare è facile, vedrete quanto è difficile mantenere il consenso quando si governa. Il consenso non lo abbiamo solo mantenuto ma aumentato. D'altra parte le fallimentari profezie della sinistra sono state smentite in tutto: dai dati economici al paventato aumento dello spread, dall'isolamento internazionale alla disoccupazione fino ai i verdetti delle agenzie di rating».
Cosa risponde alla nuova ondata di accuse di familismo?
«Nel mirino c'è Arianna. Ricordo quando facevamo attività nel movimento giovanile assieme. Se non si chiamasse Meloni minimo sarebbe parlamentare. Chiamandosi così ha ritenuto di fermarsi prima, proprio l'opposto del familismo. Mi sembra che si facciano due pesi e due misure. A Bologna abbiamo avuto Silvia Prodi consigliere regionale e Vittorio Prodi presidente della Provincia. Non mi sembra che da sinistra possano dare lezioni neanche su questo».
Prima il caso Almasri, poi la decisione della Corte d'Appello sull'Albania hanno aperto un nuovo fronte con la magistratura. La situazione che vi preoccupa?
«Storicamente tutte le volte si è vista la stessa reazione, almeno da parte di alcuni segmenti, a partire dall'avviso di garanzia a Berlusconi. Significa che stiamo andando nella direzione giusta. È innegabile che il settore necessiti di una riforma, come chiede tra l'altro anche il Pnrr».
Se finora il centrosinistra non è riuscito a ostacolare l'azione del governo, l'intervento della magistratura rischia di costituire un problema serio?
«È sempre così, la sinistra protesta, ma non avendo una idea alternativa di nazione non riesce a far nulla di più, quindi entra in campo la magistratura con singoli elementi che detta la linea. Sulla vicenda Almasri, dopo il rimpatrio Nordio ha passato un intero pomeriggio in Aula. Nessuno di fatto ha sollevato la questione. Ora dopo che si è mossa la magistratura è diventato il vessillo politico da agitare».
Sul caso Albania il trasferimento delle competenze alla Corte d'Appello non sembra aver cambiato l'approccio.
«Tutti e 5 i giudici che hanno firmato i provvedimenti provengono dalla sezione specializzata del tribunale di Roma. È una azione connotata da un elevato tasso di ideologismo a cui dovrebbe ribellarsi anche l'opposizione. Si può essere d'accordo o meno con una legge dello Stato, ma la si rispetta e la si applica, non si opera per eluderla».
Le ragioni dello scontro vanno ricondotte alla separazione delle carriere?
«No. Il vero problema è l'estrazione dei componenti del Csm perché smantella il sistema patologico correntizio che preferisce l'appartenenza alla competenza».
Restando all'Albania come risponde a chi, come Elly Schlein, sostiene che i costi siano eccessivi?
«Innanzitutto gli 800 milioni sono da qui al 2030. Nulla di paragonabile ai 5 miliardi l'anno sostenuti per l'accoglienza ai tempi del loro governo, un enorme business che oggi è stato smantellato. Vogliamo spendere sempre meno ma per una risposta strutturale».
L'attenzione dell'Europa rispetto al modello italiano potrebbe aiutarvi?
«Di certo l'Italia è riuscita a cambiare schema. Prima il controllo era mirato sui movimenti secondari, ora l'attenzione si è spostata sul controllo delle frontiere. Devono essere le istituzioni a governare i flussi non gli scafisti. La politica italiana è vista come un modello con un più 30% di rimpatri, meno 60% degli sbarchi e meno 30% delle morti in mare».
Che idea è fatto del caso Santanchè?
«Il giudizio che dovrà affrontare non riguarda le sue funzioni da ministro, ma l'ammortamento di
alcuni beni. Siamo nell'ambito del diritto penale societario, una materia estremamente incerta nei confini. Se lo stesso Gup dice che gli elementi meritano un approfondimento tutti dovrebbero esercitare la dovuta cautela».
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