Se perfino il paradiso si macchia di sangue

Il delitto della Val Pusteria

Se perfino il paradiso si macchia di sangue
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Ex guardia forestale, banda musicale, decano della parrocchia, portoncino... le parole in cui si impiglia lo sguardo leggendo i lanci d'agenzia sulla vicenda di San Candido sembrano uscite da qualche fiaba dei fratelli Grimm. Fanno venire in mente le mucche dallo sguardo immobile che ruminano e scrollano i loro campanacci e le case di legno e i comignoli che in posti così hanno ancora qualcosa da dire, a differenza di quelli in città che non sbuffano fumo da anni. Fanno pensare ai luoghi trafitti dal Natale trecentosessantacinque giorni all'anno anche se è agosto e fa un caldo maledetto. Luoghi rimasti fermi, ideali per far nascere e cullare quell'uomo naturale che Jean-Jacques Rousseau concepiva potenzialmente incorrotto, incorruttibile e solitario.

E invece è violento anche il Paradiso e si diventa violenti perfino lì e si muore persino peggio che altrove.

Ammazzati in un istante e senza neppure sapere il perché. Con un vicino di casa che ti spara sul pianerottolo dopo aver già freddato il padre malato nel suo letto e poco prima di ferire un carabiniere e poi se stesso. O per mano di qualcuno che lascia il corpo morto di un ragazzo accanto alla sua auto poco distante da un alpeggio (è successo sempre ieri, poco distante dal primo crimine, a Vandoies). La Val Pusteria come Scampia. Dove però, per molti, la violenza si appiccica addosso senza scelta, gronda dai muri, è connaturata alle leggi della strada, all'allerta per restare vivi, per non farsi fregare, per cavarsela in qualche modo.

Si fa più fatica ad immaginarseli qui i colpi di fucile mortali. Tra i pascoli, su per le stradine di montagna e dietro la porta degli abitanti, che si conoscono a memoria da quando erano alle elementari, si scambiano il segno della pace tutte le domeniche in chiesa, si prestano la legna e si spalano la neve dal vialetto a vicenda. Anche se la cronaca nera italiana avrebbe dovuto farci riflettere già troppe volte per colpa di alcuni tra i casi più angosciosi nati proprio in villette a schiera e tra le pieghe dei rapporti di buon vicinato: da Cogne a Garlasco, passando per Erba, Avetrana, Novi Ligure...

La realtà più lenta, la vita che spinge con meno pressione, perfino la noia, a tratti, e il silenzio, l'aria che non ammala, il buio che scende presto... tutti aspetti che, da altrove, si fanno coincidere con la pace più pura e invece possono instillare altrettanta violenza. Possono covare crimini apparentemente inspiegabili, alimentare ossessioni, nutrire odi insospettabili. E allora tutto quel tempo e tutta quella noia servono solo a fare la punta alla crudeltà, a ingigantire il «nemico» e ad allenare la mira (non che chiunque viva da quelle parti debba tormentarsi in progetti funesti, qualcuno ha persino vinto il Grande Slam...). Quando accadono crimini tanto atroci, quando insospettabilmente impazzisce la «fiera», a squarciarsi è un'intera società. Che mette in discussione tutto il minuscolo, bonario, organizzatissimo «ecosistema» che l'ha portata con vanto e convinzione a tenersi lontana da quella civiltà caotica e «guastante». Di nuovo, l'uomo naturale di Rousseau e il fallimento delle sue previsioni. Ci si corrompe anche da soli, evidentemente. Lontani da tentazioni, stimoli, pessimi esempi e osceni pretesti.

Ci si corrompe da soli e poi diventa più difficile guardarsi in faccia, tra chi si conosce, perché ci si è delusi vicenda, perché improvvisamente ci si sospetta a vicenda.

Perché guardandosi negli occhi bisogna ammettere che non possiamo mai sapere chi abbiamo davanti anche se ce lo abbiamo davanti da sempre, che non c'è un luogo al mondo nel quale essere al riparo da noi stessi prima che da chiunque.

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