L'indipendenza? Sì, ma anche no. O forse. Il cammino verso la secessione della Catalogna è irto di ostacoli, però siamo passati da una tragedia sfiorata a una farsa. Certo, la situazione è più che tesa, ma troviamo i due contendenti, Barcellona e Madrid, che hanno deciso di non fare il primo passo. I toni sono sempre accesi, le velate minacce non mancano, ma nessuno si azzarda ad allungare la gamba per non rischiare di inciampare. Ieri, il tanto atteso discorso del presidente catalano Carles Puigdemont, che doveva sancire lo strappo dalla Spagna, si è rivelato un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Da un lato il leader secessionista ha pronunciato le parole tanto attese dopo il referendum («sì all'indipendenza») e ha sottoscritto il testo per creare «una Repubblica catalana quale stato indipendente e sovrano». Dall'altro, Puigdemont ha proposto di sospendere tutto «per procedere con i negoziati». Da Madrid la risposta non si è fatta attendere: «Puigdemont faccia chiarezza sulla conferma della dichiarazione d'indipendenza e sulla sua entrata in vigore», ha detto il premier Mariano Rajoy, forse preso in contropiede da una secessione dichiarata ma non applicata. Il governo di Madrid, infatti, sta valutando come procedere nei confronti di Barcellona, ma resta in stand by anche l'applicazione dell'articolo 155 della Costituzione, che prevede il commissariamento e la sospensione dell'autonomia di una regione. Rajoy però ha annunciato al Parlamento che «è urgente ripristinare la legalità, porre fine a questo strappo». La parola «golpe» rimbalza in tutte le sedi istituzionali da giorni e il background storico della Spagna ha il suo peso in questa congiuntura. Tutti ricordano il fallito colpo di stato del 23 febbraio 1981, quando alcuni comandanti militari decisero di prendere il potere e il colonnello Antonio Tejero Molina fece irruzione in Parlamento con un manipolo di agenti della guardia civil. Per la Spagna è un nervo scoperto. Proprio per questo il leader secessionista di Barcellona ha messo subito le mani avanti, affermando che «non siamo golpisti, siamo e resteremo un solo popolo». Così, si è giunti all'impasse, tutti ingessati, con l'incapacità di fare la mossa politica decisiva per il timore che si riveli un disastro.
Ma nessuno che conti al di fuori della Spagna ha intenzione di legittimare lo strappo catalano. Gli stessi sostenitori europei delle sovranità e delle indipendenze, come il leader leghista Matteo Salvini, non tendono la mano a Barcellona.
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