In Senato s'incrina l'unità nazionale. Battuto due volte il governo Draghi

Asse centrodestra-Iv. Il dopo Rai e Colle agita lo scontro Pd-M5s sui relatori della manovra

In Senato s'incrina l'unità nazionale. Battuto due volte il governo Draghi

Parlare di prove tecniche in vista della partita del Quirinale è probabilmente troppo. Di certo, però, ieri in Senato è andato in scena un vero e proprio prequel di quello che sarà il nuovo corso del governo guidato da Mario Draghi dopo che a fine gennaio si sarà finalmente conclusa la riffa del Colle. Il liberi tutti, infatti, è inevitabile. Non solo perché sarà venuto meno uno dei principali collanti di una maggioranza troppo ampia per non essere litigiosa. Ma anche perché tutti inizieranno a muoversi guardando alle sempre più vicine elezioni politiche (che, al più tardi, si terranno nella primavera 2023). Un quadro su cui pesa anche il cambio di passo dell'ex numero uno della Bce. Che negli ultimi mesi - anche lui con uno sguardo alla partita del Quirinale - ha messo da parte il decisionismo di inizio anno per muoversi secondo logiche molto più politiche. Una conversione a «U» che non è passata inosservata. E che, anzi, ha alimentato ancora di più gli appetiti dei partiti, pronti ad alzare l'asticella delle loro pretese. Ieri soprattutto in vista della manovra. Ma da febbraio sarà esattamente questo lo schema che si applicherà a quella che già tutti immaginano come una campagna elettorale permanente.

D'altra parte, non è un mistero che Draghi sia fortemente tentato dalla corsa al Colle anche per tirarsi fuori da quello che sarebbe un ultimo anno di legislatura sulle montagne russe. Nonostante tutto, però, per il premier la partita resta difficile. Perché è improbabile che nel segreto dell'urna il Parlamento in seduta comune decida di eleggerlo capo dello Stato, aprendo - di fatto - la strada allo scenario che più di tutti si porta dietro il rischio delle elezioni anticipate.

Al momento, però, le preoccupazioni di Draghi riguardano soprattutto la legge di bilancio. E l'immagine di una maggioranza sempre più sfilacciata che rischia di logorare perfino un profilo come quello dell'ex banchiere centrale. Ieri, infatti, in una delle poche occasioni in cui ha deciso di non ricorrere alla fiducia, il governo è andato sotto ben due volte sul decreto capienze. Preso di mira non solo da Fratelli d'Italia, ma anche da Lega, Forza Italia e Italia viva, partiti che fanno parte della maggioranza.

Il primo scivolone è arrivato su un emendamento presentato da Carroccio e Fi (uno analogo del Pd era stato ritirato) che porta al 100% la capienza dei bus turistici. Il secondo, invece, su un emendamento di Iv che allunga a 68 anni l'età per la nomina dei direttori delle Asl durante lo stato di emergenza. Due modifiche su cui c'era il parere negativo del governo. E che si portano dietro due giganteschi paradossi. Il primo è che Forza Italia si è trovata a votare contro il parere proprio del ministero della Pubblica amministrazione, cioè contro il «suo» ministro Renato Brunetta. Il secondo è che tra coloro che hanno votato contro l'esecutivo c'è pure il sottosegretario alla Salute Pierpaolo Sileri (M5s).

Due capitomboli accolti dagli applausi dei banchi del centrodestra, non solo di Fdi che è l'unico partito all'opposizione. Ma pure di Lega e Forza Italia. L'immagine plastica - nonostante il decreto legge abbia poi ottenuto il via libera del Senato con 174 sì e 20 no - di quanto da ora in poi sarà agitata la navigazione del governo. Peraltro, con tensioni che incrinano i rapporti anche all'interno delle singole coalizioni. Se ieri Silvio Berlusconi e Matteo Salvini si sono sentiti per concordare un'azione comune sulla manovra, è proprio questo ad oggi il terreno di scontro tra Pd e M5s. Argomento di accesa polemica, con anche qualche «vaffa» nei capannelli che ieri si formavano davanti alla buvette di Palazzo Madama. Lo schema prevede infatti un relatore di centrodestra e uno di centrosinistra. Ma se Pd e Leu sono d'accordo su Vasco Errani, il M5s non ci sta e ne chiede uno di sua fiducia.

I grillini, però, hanno già il presidente della commissione Bilancio, Daniele Pesco, e il viceministro all'Economia, Laura Castelli, che si occupano a tempo pieno della manovra. Non sono, insomma, sottorappresentati. Semmai, stanno regolando i conti con Draghi dopo le nomine Rai. Che, come è noto, sono andate di traverso a Giuseppe Conte.

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