Siamo indifesi di fronte al crac di Atene

Lo scenario riguardante la Grecia si fa sempre più brutto. Più tempo passa, più si accrescono i fattori di rischio

Siamo indifesi di fronte al crac di Atene

Lo scenario riguardante la Grecia si fa sempre più brutto. Più tempo passa senza che nulla si decida, più si accrescono i fattori di rischio, per le quotazioni di Borsa, per i parametri che condizionano il credito bancario, per gli spread sul debito pubblico e per il tasso di cambio. È come se negli ingranaggi di un motore fossero entrati dei granelli di sabbia che costringono a ridurre la velocità. Fuor di metafora, si potrebbe ridurre la ripresa economica in Europa, la cui velocità ha già subito un rallentamento con le sanzioni alla Russia. In teoria la Bce con il bazooka della espansione monetaria e del credito alle banche in cambio di titoli del debito pubblico potrebbe sterilizzare le eventuali speculazioni contro gli investimenti in euro. Ma la misura dell'intervento di Draghi non è nota, sia perché si tratta di un fatto nuovo e sia perché la decisione dipende dal voto nella Bce, in cui conta molto la Bundesbank. Anche dal lato dell'Unione europea verso la Grecia, la decisione dipende dalla Germania, il Paese che meno ha di che preoccuparsi dei contraccolpi del Grexit. L'Italia, con il Portogallo e la Spagna è il Paese più esposto a contraccolpi. Ed è fuori dal tavolo decisionale europeo. È anche il Paese meno preparato a sopportare tali contraccolpi. Il governo italiano attuale ha completamente ignorato la questione greca, così come quella degli immigrati. A partire dal premier Renzi, che detta l'agenda, il governo si è dato altre priorità: l'Italicum, ossia la riforma del sistema elettorale e del Senato, la legge sui bilanci delle società, la riforma dei reati ambientali, quella della scuola, con l'assunzione dei precari pubblici (100mila). La riforma del mercato del lavoro si è imperniata sull'aumento del ruolo del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, incentivato con un esonero contributivo costoso per l'Inps e sull'assunzione dei precari del settore privato, con perdita dei loro contributi per le casse dell'Inps. Neppure negli ultimi giorni il governo ha fatto mente locale sulla Grecia, per la quale non ha né un piano A né un piano B, in caso di sua fuoriuscita dall'euro. Dal punto di vista delle perdite su crediti derivanti dal Grexit, per la Germania sono in gioco 13 miliardi di crediti bancari, per noi solo 1,5. Ma dal punto di vista macroeconomico il quadro si inverte. La Germania ha un surplus di bilancia dei pagamenti, ha il bilancio pubblico in quasi pareggio, ha un basso rapporto fra debito e Pil ed un tasso di interesse quasi negativo sul suo debito pubblico. Inoltre il tasso di crescita del Pil della Germania per il 2015, secondo le previsioni, è lo 1,7%; la disoccupazione è al 4,7%. La frenata della crescita non genera drammi ai tedeschi. Nel caso di una riduzione della crescita in Europa, l'Italia che nel 2015 prevede solo un aumento del Pil dello 0,7% invece rischia di ritornare in semistagnazione. La disoccupazione da noi è al 12,4% con una drammatica disoccupazione giovanile. E rischierebbe di risalire. Soprattutto, causa della demagogia imprevidente e furbesca di Renzi, noi siamo in una situazione di bilancio, senza «fieno in cascina». Renzi avendo adottato la politica dei bonus, quello di 80 euro in busta paga, (costo di 12 miliardi annui almeno) e quello dell'esonero dai contributi per i contratti a tempo indeterminato, per il 2015 presenta un bilancio con un deficit/Pil del 2,6%. Il deficit sarebbe del 2% per il 2016. Ciò comporta nel 2015 la crescita del già elevato rapporto fra debito e Pil dal 132,1 nel 2014 al 132,5 (la Commissione europea lo prevede 133,1). Solo nel 2016 il nostro debito scenderebbe al 130,6 del Pil. Una frenata della crescita del nostro Pil può far salire il deficit di bilancio e il debito/Pil. Esso nel 2016 aumenterebbe ancora. Se Renzi non avesse fatto il populista con i suoi bonus ora il nostro deficit Pil sarebbe allo 1,6 anziché al 2,6. Il debito sarebbe in discesa sul Pil. Non dovremmo preoccuparci di un aumento dello spread del nostro debito pubblico, che peggiorerebbe il nostro bilancio e ci potrebbe esporre alla necessità di manovre aggiuntive.

La nostra sorte non dipenderebbe dalla nave di salvataggio della Bce, al cui timone c'è Draghi, che però è condizionato da Berlino. Se avessimo il bilancio in quasi pareggio potremmo fare la voce grossa con Berlino, anziché stare nelle retrovie, sperando in deroghe.

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