La sinistra sotto choc per la batosta elettorale fa coming out sui gay e rivela la sua ipocrisia, dal greco hypokrisis: «Simulare, sostenere una parte per guadagnarsi la simpatia o i favori di una o più persone, ingannandole». Galeotto fu il surreale dibattito sul #Comingoutday, la giornata di ieri dedicata alla dichiarazione della propria omosessualità. L'altro giorno il segretario del Partito Gay Fabrizio Marrazzo sibila: «Ci sono almeno cinque parlamentari Lgbtq+ non dichiarati in Fdi, tanti anche nel centrodestra. L'11 ottobre facciano coming out». Quanto puzza di dittatura rossa, di Buoncostume anni Settanta questo aut aut. E chi lo pronuncia dice pure di volersi battere per impedire che altre persone subiscano la stessa imposizione. Eccola, l'ipocrisia. Il diritto a decidere liberamente se rendere pubblica o meno la propria inclinazione non vale se sei di destra.
Secondo Marrazzo, Fdi e centrodestra sarebbero contrari a normare il reato di omobitransfobia, previsto nel pasticciato ddl Zan fermo in Parlamento e contenuto anche in un emendamento della senatrice M5s Alessandra Maiorino. E non dichiararsi confermerebbe il clima omofobo che si respira nel centrodestra. La migliore risposta a Marrazzo è di Mario Ravetto Flugy, dirigente nazionale Fdi e candidato alle recenti Politiche: «In Fratelli d'Italia non c'è mai stata alcuna discriminazione, lo dimostra la mia esperienza di omosessuale dichiarato e dirigente. L'intimidatorio invito di Marrazzo è di una violenza psicologica insopportabile».
Dell'autogol si è accorta anche Vladimir Luxuria, ex parlamentare di Rifondazione comunista: «Il coming out deve essere volontario. Alcuni parlamentari della destra non sono non dicono di essere gay ma diventano i nostri peggiori nemici e ci attaccano con una doppia morale. Sono tentata di fare outing e rivelare io la loro condizione. Ma ciascuno deve decidere se, come e quando dichiararsi».
L'ipocrisia si è già manifestata proprio sul famigerato ddl Zan, su cui la sinistra si è ideologicamente e colpevolmente impuntata sebbene reati come l'omobitransfobia siano già normati dalla legge Mancino che - Luxuria dixit - già «sanziona e condanna frasi e azioni che incitano all'odio e alla violenza per motivi razziali, etnici, religiosi o nazionali» ormai da quasi 30 anni. «Nel nostro mondo c'è una componente di centrodestra del 35-40%, mediamente di una certa età, che preferisce vivere la sessualità in maniera privata», dice il massmediologo Klaus Davi, che si definisce «gay liberale». «Anche io sono contrario al coming out forzato, questa schedatura somiglia a quelle battaglie del movimento gay Usa tipo Outrage».
Ma poi, il problema è dichiararsi o sposare certe battaglie? È quello che sostiene Enrico Oliari, fondatore e presidente onorario di GayLib: «Giorgia Meloni deve aprire un tavolo di confronto laico e senza pregiudizi sui diritti civili». Eccolo, il timore delle comunità gay di sinistra. Sarebbe uno smacco, l'ennesima sconfitta, se questa maggioranza riuscisse a trovare una sintesi tra le istanze del mondo Lgbtq+ e una cornice legislativa che tuteli il diritto e la Costituzione, magari con un ministro della Famiglia aperto al dialogo e ragionevole ma fermo sulle istanze prolife. C'è già una proposta della Meloni sulla spinosa questione dell'utero in affitto, che la sinistra pretende di spacciare per «solidale e gratuita».
Questa pratica odiosa spacca lo stesso mondo omosessuale e persino le femministe perché è un reato che si consuma sulla pelle delle donne povere (come in Ucraina) ma che è stato surrettiziamente sdoganato dalla giurisprudenza creativa in termini di famiglia, anagrafe e stepchild adoption, figlia soprattutto dell'assenza del Parlamento sui temi etici. Questa è la volta buona per legiferare, senza ideologie e senza impuntature, sui diritti civili. E questo spiega il nervosismo ipocrita della comunità gay più intransigente.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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