Il caso è chiuso. L'investigatore Luigi Di Maio, nonché vicepremier, nonché ministro dello Sviluppo economico, nonché capo politico del M5s ha risolto il giallo. Se lo spread cresce la colpa è di Matteo Salvini. L'ha detto lui stesso, intervistato dal Corriere della Sera: «Lo spread sale soprattutto se ci sono continue tensioni nel governo». Quindi, caro Matteo, smettila con le tue sparate altrimenti ci troviamo la Trojka a Palazzo Chigi prima che Conte finisca di sistemarsi la pochette. Ma come? E i poteri forti? E i cospirazionisti all'opposizione? E il complotto mediatico? E le agenzie di rating? Cancellati. Svaniti. Evaporati. È colpa di Matteo. Eppure qualche spiegazione Di Maio dovrebbe darla. Perché, a rileggere le sue frasi, non è sempre andata così.
Il 24 aprile del 2018, due mesi dopo le elezioni politiche, lo spread era a quota 113. Uno dei valori più bassi degli ultimi anni. Un mese dopo, il 30 maggio, nel pieno delle trattative tra 5 Stelle e Lega per la formazione di un governo, il differenziale schizzò a 275. Da allora, ed è passato più di un anno, lo spread ha navigato in acque agitate, stabilizzandosi attorno a una poco rassicurante quota 250, con picchi sempre verso l'alto. Solo nell'ultimo mese è tornato a scendere, minacciando però nuove impennate negli ultimi giorni. Ed è in questo preoccupante quadro che il vicepremier Luigi Di Maio ha dovuto barcamenarsi. Trovando sempre il colpevole adatto. Ad ogni impennata è sempre spuntato il capro espiatorio adatto, qualcuno che si muove per il male dell'Italia. Di Maio mai, naturalmente. Lui ha sconfitto la povertà, cosa volete chiedergli di più?
Basta riavvolgere il nastro delle dichiarazioni pubbliche di Gigino per mettere in fila tutti i nemici del ministro dello Sviluppo economico. Che, sulla materia, qualche responsabilità dovrebbe pure averla. Eppure. Il 2 settembre 2018 i nemici erano le agenzie di rating: «Dobbiamo scegliere tra il giudizio di un'agenzia di rating o gli interessi dei cittadini. Non possiamo pensare di stare dietro ai giudizi di un'agenzia ma poi pugnalare alle spalle gli italiani. Per ascoltare quelle agenzie negli anni si sono fatti jobs act, legge Fornero e piaceri alle banche». A fine mese, invece l'aumento dello spread «è frutto della demonizzazione di questo governo». Angeli (loro) e demoni (i poteri forti), manco fossimo in un libro di Dan Brown.
Ma, attenzione, il giorno dopo nel mirino di Luigi Di Maio non ci finiscono i burocrati o l'Europa ma le opposizioni, Pd in testa, e i principali giornali italiani che fanno del «terrorismo mediatico» con l'obiettivo di «far schizzare lo spread» e causare «un colpo di stato finanziario». Caso risolto: è colpa del Pd. E invece no, perché passano 24 ore e Gigino se ne esce con un'altra teoria. Il mandante è Moscovici, commissario Ue all'Economia: «Stamattina a qualcuno non andava bene che lo spread non si fosse impennato. Moscovici, che non è italiano, si è svegliato e ha pensato bene di fare una dichiarazione contro l'Italia, contro il Def italiano e creare tensione sui mercati». Passano i giorni, di Maio se la prende anche con Juncker e infine arriva il capolavoro del complottismo. Sono i mercati che pensano male.
«Lo spread è a 327 per una sola ragione perché i mercati pensano che questo governo non sia più compatto».E ora? Oggi che lo spread è tornato a ruggire, Gigino ha aperto la rubrica e ha scoperto di aver finito i nomi. Dopo Salvini c'è solo il suo. Ma no, non può mica essere colpa sua...
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