A quasi 38 anni dallo scoppio della bomba in stazione che fece 85 morti e 200 feriti è tornata in un aula di tribunale Francesca Mambro condannata in via definitiva per la strage del 2 agosto 1980 insieme a Valerio Fioravanti e Luigi Ciavardini. "Non ho mai perduto l'umanità anche quando ho fatto cose malvagie - ha detto - non ho fatto nulla di cui dovermi vergognare qui oggi a Bologna. Essere qui è motivo di grande stress emotivo, perchè questo è un luogo dove non dovrei essere nè come teste nè come imputata per una strage che non ho commesso". La Mambro, 59 anni, è stata chiamata a testimoniare davanti alla Corte di assise del tribunale felsineo nel processo che vede imputato Gilberto Cavallini per concorso nella strage di Bologna.
Foulard colorato al collo e occhiali da sole, è arrivata nel tribunale di via Farini, nel centro del capoluogo emiliano, dove in mattinata sarà chiamata come teste. Circondata da giornalisti e fotografi, al momento, non ha rilasciato dichiarazioni alla stampa. "È una settimana che mi si torcono le budella - commenta la vicepresidente dell'Associazione familiari delle vittime del 2 agosto, Anna Pizzirani - inceramente vederla arrivare con uno spiegamento di giornalisti e televisioni che sembra una diva, una star con gli occhiali neri è una cosa veramente deprimente e che crea un certo disappunto". Attualmente libera, l'ex componente dei Nar, che ha estinto la pena nel 2013, si è professata innocente per il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra. "C'è una sorta di autodifesa personale, faticosa - ha detto - faccio molta fatica anche a ricordare. Venire qui a Bologna è faticoso, mi sento una deportata qui a Bologna". In Aula erano presenti anche alcuni familiari delle vittime della strage che hanno reagito male a queste dichiarazioni.
Durante la deposizione, la Mambro ha ripercorso quella da lei definita una "data importante per la destra romana". Il riferimento è al pluri-omicidio a sfondo politico avvenuto a Roma il 7 gennaio 1978 in cui furono uccisi due giovani attivisti del Fronte della gioventù in un agguato davanti alla sede del Msi di via Acca Larentia. Un episodio che porterà alcuni giovani di estrema destra ad abbracciare la lotta armata. "Dopo la strage di Acca Larentia - ha spiegato - nell'ambiente si è cominciato a riflettere sul fatto che eravamo carne da macello. Quindi - ha continuato - avevamo bisogno di difenderci da un attacco in cui la vita dei ragazzi di destra non aveva alcun valore". Il passaggio alle armi è stato, quindi, immediato. "Abbiamo iniziato una serie di azioni che portavano ad un approvvigionamento di armi. Non potevamo più aspettare - ha concluso l'ex componente dei Nar - di essere prede di caccia dell'estremismo rosso con l'appoggio e le giustificazioni degli organi istituzionali".
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