Lo striscione Uil rimosso imbarazza i vicepremier

Manifesto ironico vietato dalla Questura: «Deturpa il paesaggio». Di Maio lo posta sui social

Lo striscione Uil rimosso imbarazza i vicepremier

In principio fu Brembate (Bergamo), lo striscione eloquente ma senza nomi su cui c'era scritto «Non sei il benvenuto» tolto dai vigili del fuoco su input (parole loro) della Questura, per non disturbare il comizio locale di Matteo Salvini. Quindi la replica a Milano, stesso ministro e vicepremier protagonista del comizio, il più che eloquente ma sempre neutro «Restiamo umani» srotolato da un balcone di piazza Duomo da un uomo travestito da Zorro. Anche quello kaput, vietato. E infine ieri Roma, la manifestazione degli statali: uno striscione ironico, Luigi Di Maio e Matteo Salvini ritratti a mo' di fumetto, che la Uil è stata costretta a rimuovere, motivazione ufficiale ma poco convincente della Questura, perché deturpava il paesaggio del Pincio e perché non era stata chiesta regolare autorizzazione.

Aggiornando Cavour e il celebre Libera chiesa in libero Stato, verrebbe da aggiungere, in era gialloverde, che in libero Stato sarebbe opportuno anche libero striscione. Mai, fino a poche settimane fa, era avvenuto che nel mirino degli agenti, che di solito non agiscono di propria iniziativa, finissero la protesta pacifica, una frase scritta su un lenzuolo o cartellone, l'ironia. Anche lo striscione di ieri vittima della censura (e diventato poi vignetta sui social) non aveva nulla di offensivo. «Mattè - dice un Di Maio in camicia e cravatta a un Salvini con la felpa della Uil - dicono che mettese contro il sindacato porta male», parafrasi di una frase ricorrente del segretario della Uil Carmelo Barbagallo. E Matteo, di rimando, scattando un selfie: «Si, Gigino, lo so, infatti me sto a portà avanti col lavoro!!». «Volevamo mettere lo striscione al Pincio - racconta il segretario generale della Uil Fpl, Michelangelo LIbrandi - ma ci hanno bloccato perché troppo grande (108 metri quadrati, ndr). Abbiamo poi provato a metterlo per strada ma è intervenuta la Digos, dicendo che visto che questo striscione era contro i due vicepremier non poteva essere aperto».

La Questura di Roma smentisce: «Nessuna censura, si è ritenuto che lo striscione fosse lesivo del decoro paesaggistico». E giù codici e codicilli, la regola, l'articolo 49 del codice dei beni culturali, che avrebbe imposto il divieto. Ma la polemica è tutta politica. A cominciare da uno dei protagonisti. Di Maio, via social, pubblica la versione vignetta dello striscione e prende le distanze dal suo blocco: «Non ho mai chiesto e non mi sarei mai sognato di chiedere la rimozione di uno striscione che, ironicamente e pacificamente, critica il governo. La libertà di pensiero vale sempre». Declina ogni responsabilità anche il ministro dell'Interno Salvini: «Mi occupo di lotta alla mafia, alla camorra, alla droga, ai trafficanti di esseri umani e non faccio guerre agli striscioni. Infatti ce ne sono ovunque e di ogni tipo. Ho dato indicazioni, già nelle scorse settimane, di non intervenire».

Il Pd insorge..

Polemica nella polemica, quella del dem Michele Anzaldi: «Al Tg1 delle 13.30 è andata in onda la censura della censura: nessuno spazio alle proteste della Uil per la decisione della Questura di Roma di vietare lo striscione ironico su Salvini e Di Maio».

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