Ostruzionismo in commissione, battaglia in aula, raccolta di firme nel paese: lo scontro sul salario minimo a 9 euro, proposto dalle opposizioni, si infiamma.
E la maggioranza reagisce cercando di tagliare i tempi e di affossare in fretta la legge: ieri, dopo una lunga scaramuccia in Commissione Lavoro alla Camera, il dibattito era stato rinviato ai giorni successivi. Invece nel tardo pomeriggio il centrodestra ha provato ad accelerare, riconvocando la commissione in notturna. Obiettivo: arrivare prima possibile, magari nottetempo, al voto degli emendamenti soppressivi appoggiati dal governo, mirati a cancellare il testo.
I gruppi del centrosinistra reagiscono iscrivendosi in massa a parlare in commissione, a cominciare dai leader (da Elly Schlein a Giuseppe Conte, da Nicola Fratoianni a Matteo Richetti di Azione) per guadagnare tempo, rallentare la corsa verso il voto e tenere accesi i riflettori sul tema.
Per una volta quasi compatte (si è sottratta solo Italia viva) le opposizioni sono convinte di aver scelto il tema giusto per mettere in difficoltà il centrodestra meloniano e ottenere consensi, in un paese dove il problema della povertà dei salari è una realtà diffusa e sentita. Tanto che, caso più unico che raro, i partiti del centrosinistra sono riusciti a mettere la sordina alle loro eterne rivalità e a far passare sotto silenzio non solo la scelta di Matteo Renzi di sfilarsi dal fronte, ma anche lo scontro sordo tra Pd e M5s per intestarsi la bandiera. «Per il centrodestra questo argomento costituisce un problema», spiega Arturo Scotto, capogruppo Pd in commissione Lavoro, «e lo dimostra la fretta che hanno di toglierselo dai piedi, tanto da convocare la seduta notturna per votare la soppressione. Ma sono a corto di argomenti da opporci: se invece di presentare solo un emendamento soppressivo, che inevitabilmente compatta il centrosinistra, avessero presentato emendamenti di merito sui tempi di entrata in vigore o sulle cifre, avrebbero potuto facilmente dividerci».
La destra è consapevole che il tema va maneggiato con cautela, così se il ministro degli Esteri Antonio Tajani boccia la soglia obbligatoria fissata per legge («In Italia - dice - non serve il salario minimo. Serve un salario ricco, perché non siamo nell'Unione Sovietica in cui tutti avevano lo stesso stipendio»), da Fratelli d'Italia spiegano: «Anche noi della maggioranza concordiamo sulla necessità di mettere più soldi in busta paga, ma non con lo strumento proposto: meglio puntare sul taglio del cuneo fiscale che sul salario minimo fissato per legge».
Ovviamente a sinistra sono consapevoli che si tratta di una battaglia a perdere: l'ostruzionismo in commissione potrà durare ore o anche giorni, ma prima o poi l'emendamento soppressivo del centrodestra verrà messo ai voti e passerà.
La legge poi approderà comunque in aula il prossimo 28 luglio, nella quota di provvedimenti riservata alle opposizioni, e anche lì verrà bocciata a maggioranza. Ma intanto il dibattito crescerà e il tema resterà all'attenzione dell'opinione pubblica fino alla chiusura estiva, portando consensi - spiegano nel Pd - a chi perora la causa del salario minimo.
Per questo si drammatizza lo scontro: «Stiamo cercando di impedirvi di fare un errore gravissimo - dice la capogruppo Chiara Braga - e di sbattere la porta in faccia a tre milioni e mezzo di lavoratori poveri di questo paese».
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