Sulle nomine di Stato Meloni rinuncia a fare la "pigliatutto". L'apertura a Lega e Fi rilancia la coalizione

E all'ultima curva la sorpresona, il sorpasso di Fulvio Cattaneo e Paolo Scaroni che, dopo 36 ore di trattative, con uno scatto conquistano l'Enel: amministratore delegato il primo, presidente il secondo

Sulle nomine di Stato Meloni rinuncia a fare la "pigliatutto". L'apertura a Lega e Fi rilancia la coalizione

E all'ultima curva la sorpresona, il sorpasso di Fulvio Cattaneo e Paolo Scaroni che, dopo 36 ore di trattative, con uno scatto conquistano l'Enel: amministratore delegato il primo, presidente il secondo. Champagne per Matteo Salvini, che strappa una delle poltronissime delle big five, soddisfazione a Forza Italia perché, come dice Antonio Tajani, «abbiamo fatto un lavoro accurato e premiato la qualità, qui conta la competenza non la lottizzazione». Ma anche Giorgia, ridimensionata, un po' frenata, si dichiara contenta. Non ha fatto l'en plein, ha ottenuto solo un tris per ora e non un pokerissimo, però, spiegano a Palazzo Chigi, con «scelte condivise e di tutto il centrodestra» ha rinsaldato la coalizione e rafforzato il governo. Del resto gli ad delle più importanti aziende pubbliche, tre su cinque, sono proprio quelli che voleva lei. Claudio Descalzi e Matteo Del Fante, confermati a Eni e Poste, e Roberto Cingolani, per il quale ha battagliato anche nel partito, che va a dirigere Leonardo. Giuseppina Di Foggia, prima donna destinata ai vertici di un ente statale, invece dovrà aspettare, chissà, forse rassegnarsi: la decisione sui vertici di Terna slitta.

Quanto ai numeri uno, oltre a Scaroni, ecco il generale Giuseppe Zafarana all'Eni, l'ambasciatore Stefano Pontecorvo a Leonardo e Silvia Rovere alle Poste. Uno a Fdi, forse un secondo domani, due alla Lega, uno a Fi. Un accordo complessivo raggiunto in nottata, perfezionato poi durante la giornata di ieri e reso più o meno pubblico solo a tarda sera, a Borse chiuse. Nelle prossime ore si aggiungerà forse il salviniano Igor De Biaso alla presidenza di Terna.

Ma insomma, la premier ha vinto o no la cruciale partita delle nomine? Certo non l'ha stravinta, come pareva alla vigilia, infatti ha dovuto cedere alcune presidenze agli alleati e incassare il no a Stefano Donnarumma, che invece dell'Enel o Terna avrà CdP Venture Capital. Ha fatto fare un passo indietro alla Di Foggia, vedremo se definitivo o no. Ha dovuto arrendersi alla morsa garbata in cui l'hanno stretta durante il negoziato Gianni Letta e Matteo Salvini, che le hanno ricordato che in una coalizione le decisioni vanno condivise. E alla fine ha preferito cementare il governo ascoltando le osservazioni di Fi e Lega piuttosto che insistere nella versione asso pigliatutto. «Il presidente del Consiglio - commenta Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega al Senato - deve giustamente dare il suo indirizzo, poi le cose vengono condivise e il risultato è di tutto l'esecutivo».

Dunque, niente cappotto. Per alcuni dei meloniani meglio così. Anche se sarà difficile far convivere le filosofie energetiche del duo Cattaneo-Scaroni con quelle dei «draghiani» Descalzi e Cingolani, l'accordo serve a compattare la maggioranza in vista dei prossimi impegni. La lista è lunga. Al primo posto dell'elenco c'è ovviamente il Pnrr, con la difficoltà ormai conclamata di riuscire a spendere i fondi europei e l'ipotesi di cambiare progetti e modalità di intervento. La mediazione con Bruxelles sta procedendo bene, raccontano a Palazzo Chigi, ma la cosa importante adesso è affidare programmi e miliardi a strutture più veloci della italica burocrazia. E i grandi gruppi statali sono già coinvolti nell'attuazione del Piano e sono certamente più pronti e più attrezzati dei comuni e delle regioni.

In questo quadro va letta l'impuntatura su Roberto Cingolani. La Lega non lo voleva, a Forza Italia non erano entusiasti e persino tra FdI in diversi gli hanno fatto la guerra. Troppo draghiano, poco affidabile politicamente, non è dei nostri. Guido Crosetto, ministro della Difesa, cioè non uno qualsiasi nell'universo meloniano, non era per niente d'accordo. Alla guida di Leonardo preferiva Lorenzo Mariani, ma poi ha dovuto cedere. La premier non ha sentito ragioni, come ha insistito a lungo sulla Di Foggia, prima donna della storia italiana a poter diventare amministratore delegato di un'impresa pubblica. Lo aveva annunciato l'otto marzo, adesso se va bene il progetto deve scontare almeno 24 ore di ritardo.

Ma quello che alla Meloni premeva era organizzare una squadra di manager dal profilo indiscutibile per gestire settori delicatissimi e connessi, come l'energia, gli armamenti, la tecnologia e la difesa. Cingolani e Descalzi sono segnali di una «competenza» e di continuità europeista e atlantista. Dicono che dietro Giorgia ci fosse l'ascoltatissimo ad di Eni. Lui smentisce: «Ho passato gli ultimi mesi in giro per il mondo per il gas. Dopo 43 anni di Eni pensate che possa mettere il naso in altre società?».

E la premier taglia corto sul metodo: «Le nomine dei nuovi vertici di Eni, Enel, Leonardo e Poste sono frutto di un attento percorso di valutazione delle competenze e non delle appartenenze. È un ottimo risultato del lavoro di squadra del governo». Hanno vinto tutti.

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