A natomia di un istante, di un premier umiliato e frastornato, di un Paese screditato a livello internazionale. Nell'epoca dei video immancabilmente virali, esistono ancora fotografi fenomenali (Ballesteros/Epa/Ansa) che sanno cogliere l'attimo, il clic di una frazione di secondo che illustra un contesto politico-internazionale meglio di tante parole.
Se quella scena fosse un dipinto, la targhetta avvertirebbe il visitatore: Mario Draghi appartato al Museo del Prado di Madrid, avvilito dalle beghe politiche italiane mentre capi di Stato e di governo si godono la visita. I Grandi conversano in abito scuro e tailleur colorati, quasi un party mondano dinanzi a un trittico di figure ieratiche che li osservano severi dalla parete. Lui, il presidente del Consiglio italiano, telefona mestamente con il cellulare all'orecchio, seduto su un tavolino basso, volgendo le spalle al crocchio dei colleghi. Non conosciamo l'identità dell'interlocutore, ma certamente il contenuto della chiamata: i capricci del suo predecessore Giuseppe Conte dopo l'indiscrezione giornalistica lanciata da Fatto Quotidiano. Niente di epocale, un succulento e divertente gossip che nasce come un pettegolezzo tra amici maliziosi (il sociologo De Masi rivela che Grillo gli ha detto che Draghi gli ha chiesto di rimuovere Conte) e sfocia in un caso di Stato dai risvolti internazionali. Proprio quello che ci voleva durante un vertice della Nato con mezzo mondo sull'orlo di una guerra mondiale.
Forse solo Rembrandt e pochi altri maestri leggendari avrebbero saputo ritrarre un personaggio, come Draghi isolato al museo, con quell'espressione tra l'ironica incredulità e il fastidio attenuato dal pugno della mano sinistra adagiato sulla coscia. La postura composta e simmetrica, la cravatta azzurra che sbuca dalla giacca chiusa con il bottone centrale, le scarpe con fibbia allineate sul pavimento. Qualcosa di aristocratico e umanamente popolano allo stesso tempo, una versione sublime del che s'ha da fa' pe' campa'.
In quel fotogramma si è consumata la perfida vendetta del precedessore Giuseppe Conte, sentitosi estromesso da un'ingrata congiura di Palazzo che ha pilotato l'ex presidente della Bce a Palazzo Chigi. Tu mi esautori? E io dimostro a te ai tuoi amici potenti, in un momento di relax a Madrid, che ci sono anche io a sostenere il tuo governo. E la ricostruzione non è fantascienza, visto il precipitoso rientro notturno a Roma del presidente del Consiglio, costretto a lasciare il vertice per occuparsi di mezze crisette estive. Ma la fotografia del Draghi solitario a Madrid non rappresenta solo l'umiliazione politica del potente di turno, la gogna che non risparmia mai nessuno. Peggio: una figuraccia penosa per l'Italia, per tutti noi.
Il premier non si è dovuto allontanare dall'Alleanza atlantica per un'emergenza nazionale, ma per una fibrillazione politica di routine, sorta dalla lettura dei giornali. Les italiens, sospirerebbero i francesi con la consueta spocchia. Ma questa volta facciamoci piccoli e incassiamo le ironie dei leader e dell'opinione pubblica mondiale.
Su quel tavolino eravamo appoggiati anche noi: chi alle prese con uno scocciatore che non ci molla o con un familiare che si lamenta della nostra assenza mentre siamo a una festa dove tutti si stanno divertendo, tranne noi.
Purtroppo, in realtà, lì c'era il nostro presidente del Consiglio, molestato dalle bizze di un leader di partito in cerca di attenzione e visibilità. E con lui un'Italia seduta e mortificata quando è il momento di restare in piedi.
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