Tante parole e poco Pil la Ue scrive al governo: a quando le riforme?

La Commissione vuole sapere le date e le previsioni sulla crescita italiana. Le risposte attese entro venerdì

Il commissario europeo agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici
Il commissario europeo agli Affari economici e finanziari Pierre Moscovici

nostro inviato a Bruxelles

La Commissione europea ha inviato una lettera al governo italiano per fare chiarezza sulle riforme strutturali che Matteo Renzi si è impegnato a introdurre. Non è che a Bruxelles non si fidino. Quasi. Lo si desume dal tono della missiva.

Nel dettaglio, la direzione Affari economici e finanziari ha chiesto al ministero dell'Economia quale impatto sulla crescita produrranno 9 riforme annunciate dal governo: Lavoro (Jobs Act), Scuola, Fisco, Banche, Pubblica amministrazione, Giustizia, Istituzioni, Competitività e Coesione territoriale.

La Commissione si attende le risposte entro venerdì. Alla base delle richieste, le perplessità sull'iter parlamentare delle riforme. E da notare che la lettera spedita da Bruxelles è precedente alla scelta di Forza Italia di sganciarsi dal sostegno alle riforme istituzionali.

Nella lettera la Commissione chiede dettagli e spiegazioni al governo sui tempi dell'approvazione parlamentare delle riforme. Una data per ogni riforma. E una stima di incremento del Pil per ognuna delle riforme. Anche perché è proprio in virtù di queste riforme strutturali che l'Italia ha ricevuto l'interpretazione più ampia del concetto di flessibilità di bilancio (correzione dello 0,25% del deficit strutturale, in luogo dello 0,5%).

Sembra che la lettera (ricevuta la settimana scorsa) abbia già avuto il 6 febbraio una risposta ufficiale degli uffici di Via Venti Settembre. Ma non è stata particolarmente apprezzata da queste parti. Così, in modo informale, gli uffici del commissario Pierre Moscovici avrebbero contattato i tecnici romani per stimolarli a fornire le risposte richieste entro il tempo previsto: dopodomani.

Alla vigilia di San Valentino il governo italiano dovrà anche fornire indicazioni sui tempi di riduzione del debito pubblico. Nella lettera della Commissione, infatti, c'è un paragrafo dedicato a chiedere informazioni su quando e quanto diminuirà il debito quest'anno. E quando partiranno le privatizzazioni.

E proprio il debito pubblico è l'anello debole della costruzione del quadro di finanza pubblico italiano. Sembra che la gaffe diplomatica di Yanis Varoufakis («funzionari italiani mi hanno detto che il debito pubblico italiano non è sostenibile») sia stata innescata da funzionari italiani di stanza a Bruxelles.

In realtà, sembrerebbe che la mossa della Commissione sia un avvertimento («un warning », come dicono da queste parti) al governo italiano di non assecondare eccessivamente le richieste elleniche sul mancato rispetto dei patti in materia di bilancio pubblico. I riferimento fatti nella lettera al monitoraggio delle riforme, alla tenuta della maggioranza parlamentare, al piano di rientro del debito entrano in quest'ottica. Nella sostanza il messaggio della Commissione al governo è: avete chiesto e ottenuto flessibilità di bilancio in cambio delle riforme. Ma queste riforme a che punto sono?

Domanda pleonastica, visto che anche a Bruxelles leggono le cronache parlamentari italiane. E sanno benissimo che alcune sono ferme al palo. Tant'è che nella lettera chiedono lumi sui tempi di varo dei decreti delegati relativi al Jobs Act e alla riforma della Pubblica amministrazione. Ma soprattutto chiedono: serviranno alla crescita?

La Federal Reserve come bastione di indipendenza, campione di «autoprotezione» da possibili pressioni e dirette ingerenze politiche. Una prerogativa da difendere a spada tratta secondo molti, ma che rischia di essere vanificata da una proposta dei legge che ne limita i poteri di azione, ampliando la vigilanza del Congresso sulle decisioni della Banca centrale in materia di tassi di interesse. E la proposta solleva un allarme tale da indurre i vertici della massima istituzione bancaria americana a dure critiche.

Ma ora che sia Camera sia Senato sono in mano alla destra, la legge potrebbe avere molte più chance di passare. Il primo firmatario del testo è il senatore repubblicano Rand Paul, secondo cui il provvedimento potrebbe costituire addirittura «il primo passo verso l'abolizione» della Banca centrale.

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