«Forse Berlusconi ha avuto qualche ragione nel ritenersi perseguitato dai giudici? Probabilmente sì», risponde Massimo D'Alema in un'intervista al Corriere della Sera. L'ex premier, che ammette di riconoscersi nella definizione di «nemico numero uno» - politico, s'intende - del fondatore di Forza Italia, oggi parla così della contrapposizione giudiziaria e del ruolo dei magistrati nella storia politica e personale di Berlusconi: «Credo che Berlusconi abbia sollevato un problema reale declinandolo nel modo sbagliato. E cioè interpretandolo come se ci fosse il complotto dei magistrati di sinistra contro di lui. In realtà quello che si era determinato nel nostro Paese era stato uno squilibrio nei rapporti tra poteri dello Stato, questa è la verità».
E ancora: «L'indebolimento del sistema dei partiti ha lasciato campo a una crescita del potere politico della magistratura, che si è arrogata il compito di fare qualcosa di più che perseguire i reati, come per esempio vigilare sull'etica pubblica e promuovere il ricambio della classe dirigente». L'ex ministro degli Esteri ed ex segretario dei Ds, lascia filtrare una netta mutazione. Quantomeno di sensibilità rispetto alle grida spesso isolate di storici avversari politici contro il rischio di un certo sconfinamento del potere giudiziario - o meglio di taluni suoi rappresentanti - dal terreno della ricerca delle responsabilità penali a quello dell'etica o della politica.
Eppure molto è stato detto e scritto della sinistra giudiziaria militante e del ruolo che ha avuto nella storia recente, politica e non. E non solo in quella di Berlusconi. Degli effetti distorti che nel nostro Paese hanno avuto indagini e processi, del loro impatto sulla vita dei governi e delle istituzioni, oltre che sulle vicende personali delle persone coinvolte. Considerati sempre «effetti collaterali» da una certa sinistra che ha saputo cavalcare il substrato politico di certa magistratura. Oggi D'Alema scopre che la «magistratura si è arrogata il diritto di fare qualcosa di più che perseguire i reati» e che ha sviluppato una sorta di potere politico.
Sono parole che arrivano in un momento delicato per l'ex leader Maximo. Il quale si ritrova oggi coinvolto in un'inchiesta della Procura di Napoli per corruzione internazionale. Ferma restando la presunzione d'innocenza che vale per ogni inchiesta giudiziaria, i magistrati hanno acceso un faro sul ruolo di D'Alema e non solo, in una trattativa - mai andata in porto - per la vendita alla Colombia di navi e aerei militari di due aziende di Stato, Fincantieri e Leonardo.
In un audio registrato a sua insaputa si sente D'Alema parlare con un colombiano di una possibile provvigione da 80 milioni di euro da «dividere» tra italiani e colombiani. I pm vogliono verificare se sia stata «promessa» o «offerta» la metà dell'eventuale premio a funzionari pubblici di Bogotà. Da qui l'ipotesi di corruzione. Tramite il suo avvocato D'Alema si è difeso: «Non ha fatto altro che dare la propria disponibilità per mettere in contatto due Stati e ora si ritrova vittima di un raggiro».
Di certo appaiono lontanissimi i tempi in cui D'Alema commentava così la decisione dei giudici di concedere l'affidamento in prova ai servizi sociali a Berlusconi per effetto della condanna per frode fiscale. «È una decisione presa dalla magistratura con particolare attenzione al ruolo politico di Berlusconi: è comprensibile. Certo viene da pensare che cittadini meno fortunati, meno ricchi e potenti per reati molto minori vanno semplicemente in prigione. È una giustizia a velocità variabili», diceva nel 2014. «Detto questo non credo che Berlusconi debba essere messo fuori dalla giustizia, io credo che Berlusconi debba essere messo fuori dalla politica perché è sempre meno capace di tenere e organizzare il centrodestra».
O ancora: Silvio Berlusconi «ha riportato il Paese agli standard di corruzione della vecchia Italia, della tanto vituperata prima Repubblica», sentenziava nel 2010 da presidente del Copasir, commentando l'inchiesta sulla cosiddetta P3.
«Emerge intorno al potere berlusconiano una fitta rete di interessi, una rete affaristica che appare come un vero e proprio sistema di potere, non si tratta di casi singoli come dice il premier ma di qualcosa che assomiglia alla rete degli anni '90». Ma il fondatore di Forza Italia non è mai stato coinvolto nell'indagine.
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