Tassa extra-profitti, ok dalle banche

Agli istituti la scelta tra versare al fisco o rafforzare il capitale. Ma niente balzelli sui clienti

Tassa extra-profitti, ok dalle banche
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Tra i banchieri e il governo il rapporto è destinato a tornare sereno. Le tre anime dell'esecutivo hanno raggiunto un accordo per una modifica della tassa sui cosiddetti extra-profitti delle banche che tante polemiche aveva scatenato dallo scorso agosto quando fu presentato il dl Asset. L'intesa, caldeggiata dal ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti che aveva avocato a sé la materia e da Forza Italia che aveva a più riprese espresso riserve sulla norma, è stata tradotta in un emendamento che domani dovrebbe essere depositato presso la commissione Bilancio al Senato. E da quel che si è appreso ieri la nuova formulazione incontra il parere positivo delle banche.

Le principali novità rispetto alla formulazione contenuta nel decreto sono tre. In primo luogo, il pagamento dell'imposta non sarà obbligatorio. «In luogo del versamento», si legge nella bozza bollinata dalla Rgs, le banche potranno destinare «a una riserva non distribuibile un importo pari a due volte e mezza l'imposta». Tale riserva viene computata «tra gli elementi del capitale primario di classe 1», cioè rafforzerà il patrimonio delle banche. Dunque, non è più prevista l'esenzione per i piccoli istituti che potranno essere invogliati a rendere più solido il proprio patrimonio, sia che si tratti di una popolare che di un credito cooperativo.

In caso di perdite di esercizio o di utili di esercizio di importo inferiore a quello dell'accantonamento obbligatorio, prosegue il testo, «la riserva è costituita o integrata anche utilizzando prioritariamente gli utili degli esercizi precedenti a partire da quelli più recenti e successivamente le altre riserve patrimoniali disponibili». Se la riserva è utilizzata per la distribuzione di utili, l'imposta viene maggiorata, a decorrere dalla scadenza del termine di versamento (6 mesi dalla chiusura dell'esercizio), «di un importo pari, in ragione d'anno, al tasso di interesse sui depositi presso la Bce» ed «è versata entro trenta giorni dall'approvazione della relativa delibera». Dunque, niente scorciatoie: se si sceglie la strada del rafforzamento patrimoniale, va portata avanti in ogni modo.

La seconda novità è la modifica del tetto massimo dell'imposta straordinaria che salirà dallo 0,1% a 0,26% «dell'importo complessivo dell'esposizione al rischio su base individuale». Si passa dunque dal totale attivo (cioè tutti gli asset detenuti da un istituto) all'«attivo ponderato per rischio», un parametro che esclude i titoli di Stato che nella classificazione dei bilanci bancari sono considerati a rischio zero. Dunque, le banche italiane non dovranno pagare tasse sui circa 400 miliardi di Btp che detengono, contribuendo massicciamente alla sottoscrizione dei titoli del debito.

Un'altra variazione riguarda l'aliquota dell'imposta che è stata ricalibrata al «40% sull'ammontare del margine di interessi» dell'esercizio 2023 «che eccede per almeno il 10% il medesimo margine» dell'esercizio 2021. La versione precedente, invece, prevedeva un calcolo differente sia sul bilancio del 2022 (eccedenza del 5%) che su quello 2023 (eccedenza del 10%). È però vietato «traslare gli oneri» della tassa «sui costi dei servizi erogati nei confronti di imprese e clienti finali» e l'Antitrust vigilerà a tale scopo anche con controlli a campione. Eventuali artifizi per ridurre l'imponibile configurano abuso di diritto e sanzione delle Entrate.

Il gettito, oltre a ridurre la pressione fiscale, rifinanzierà il fondo di garanzia Mcc che assicura i prestiti alle pmi. Quanto al gettito totale, l'incasso minimo oscillerà tra 1,5 e 2 miliardi rispetto all'ipotizzato 2,7-3 miliardi.

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