Tensione nella coalizione tra malumori e veleni

Meloni accusa Matteo: "È mancato il gioco di squadra". Voci critiche tra gli azzurri

Tensione nella coalizione tra malumori e veleni

Ci sono malumori espliciti e altri più nascosti, nel centrodestra. I tre leader si appuntano medaglie o valutano i danni, all'indomani del voto che ha messo a nudo rivalità e fragilità. E lo spirito del proporzionale prende il sopravvento su quello di coalizione. Al centro, c'è Matteo Salvini e la sua capacità (scarsa) di fare squadra con gli alleati, così non sono in pochi a paragonarlo con l'inclusivo Silvio Berlusconi.

Proprio il Capitano leghista apre le ostilità sul Corriere della Sera, accusando Fratelli d'Italia e Forza Italia di non aver dato, in Campania e in Puglia, «un'offerta all'altezza». «Non commento - dice - gli errori degli altri». Ma è più che sufficiente, anche perché annuncia che per le Comunali 2021 proporrà candidati presi da impresa e professioni. Su Caldoro e Fitto, si sa, Salvini aveva opposto forti resistenze ma poi aveva ceduto. E ora che sono stati sconfitti (come la Ceccardi, imposta da lui in Toscana, d'altronde) si prende un'amara rivincita.

Giorgia Meloni, che nel centrodestra più canta vittoria con un governatore strappato alla sinistra nelle Marche e un partito in crescita ovunque, replica su La Stampa: Se volessi partecipare a questo gioco, segnalerei che Fitto non ha preso meno voti delle liste della coalizione, anzi ne ha presi 30mila in più. Fdi più la lista del candidato presidente hanno totalizzato oltre il 20%. Noi abbiamo fatto la nostra parte, in Puglia come in Toscana. Se fosse stato così per tutti, se fossimo tutti cresciuti, avremmo vinto nonostante il clientelismo di Emiliano. A me piace fare gioco di squadra e la squadra si vede quando le cose vanno male. Mi dispiace che qualcuno stia al gioco di chi vuole dividerci».

Salvini assicura a tutti che la sua leadership nel Carroccio non è affatto insidiata dalla schiacciante vittoria del governatore del Veneto Zaia, come non lo è nel centrodestra dall'ascesa della Meloni, ma la seconda sembra meno convincente. E un po' di senso d'assedio c'è.

Dentro Fi si fanno sentire le voci critiche, che chiedono il riassetto sempre annunciato. Il risultato deludente mostra la debolezza in assenza del leader e anche le capogruppo Gelmini e Bernini parlano di rinnovamento. I più duri ripetono che in coda alla destra sovranista non si sfonda e nel mirino ci sono ancora una volta il vicepresidente Antonio Tajani, la fedelissima del Cav Licia Ronzulli e il solito «cerchio magico». Tace Silvio Berlusconi, che qualcuno descrive «depresso» per gli ultimi dati, mentre rompe il silenzio Mara Carfagna. La vicepresidente della Camera sul Mattino, si autodefinisce una «epurata» della campagna elettorale, mai invitata a manifestazioni a Napoli. Da campana osteggiava Caldoro e adesso accusa: «I numeri dimostrano quanto la gestione del partito in questi anni sia stata inadeguata».

Per la presidente di «Voce libera», i candidati «sono stati quasi eroici», ma ha pesato «la zavorra» di una classe dirigente locale che ha ridotto le elezioni a «regolamento di conti interno, avallato e spesso sollecitato da una classe dirigente nazionale preoccupata più di eliminare quelli che vengono considerati avversari interni scomodi che di far crescere Fi». Chi aspira a rappresentare i moderati, dice, non può seguire la destra sovranista e antieuropea in un attacco sterile al governo, ma deve «formulare proposte costruttive per gestire le risorse in arrivo dall'Ue».

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