Trappola di Tsipras alla Grecia. Atene resterà schiava di Bruxelles

Il leader greco ha spinto il popolo verso un voto inutile, perché l'euro non è messo in discussione

Trappola di Tsipras alla Grecia. Atene resterà schiava di Bruxelles

Oggi i greci votano se restare nell'euro o restare nell'euro. È incredibile come si faccia un referendum senza offrire l'alternativa dell'uscita dall'euro. È sconvolgente il fatto che la disinformazione e la mistificazione della realtà abbiano portato in tanti, a sinistra ma anche a destra, ad immaginare che il referendum sia pro o contro l'euro, nonché ad elevare Tsipras ad eroe della Storia quale liberatore dalla dittatura della moneta unica e dell'Eurocrazia.

Innanzitutto è singolare che il referendum si faccia su una proposta avanzata dalla Troika lo scorso 25 giugno e ormai scaduta, basata sulla contestualità della concessione di aiuti con l'avanzamento del programma di riforme. Qualunque sarà l'esito del referendum si dovrà negoziare e firmare un nuovo accordo.

In secondo luogo è stato lo stesso Tsipras, coerentemente con la sua posizione di sempre favorevole all'euro e all'Unione Europea, a giurare fedeltà all'euro: «Mente chi dice che abbiamo piani per una Grexit (ovvero l'uscita della Grecia dall'euro), mente chi sostiene che io abbia pronta la dracma: la democrazia non è un colpo di stato». Insomma per Tsipras l'eventuale abbandono dell'euro e il ritorno alla dracma costituirebbe non un legittimo riscatto della sovranità monetaria ma addirittura un colpo di stato.

In terzo luogo sempre Tsipras ha chiarito che l'esito del referendum sarà ininfluente ai fini del raggiungimento di un accordo. In una lettera inviata ai creditori ha rassicurato che la Grecia «accetterà tutte le condizioni dei creditori che erano sul tavolo con solo alcuni cambiamenti minori». Il suo ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, ha specificato che «qualunque sia l'esito del referendum, lunedì ci sarà un accordo, ne sono completamente e assolutamente certo». Secondo Tsipras il «no» al referendum dovrebbe rafforzare la posizione negoziale del governo greco, che chiede un taglio del 30% del debito e una moratoria di venti anni.

Perché dunque fare un referendum su una proposta di accordo che non è più al tavolo del negoziato, quando Tsipras non intende in alcun modo abbandonare il tavolo del negoziato e meno che mai abbandonare l'euro, ma all'opposto assicura che è determinato a sottoscrivere un nuovo accordo entro 48 ore dal referendum a prescindere dal suo risultato?

Ebbene se sostanzialmente il referendum non concerne i contenuti dell'accordo con i creditori, perché allora Tsipras, a soli 7 mesi dalla vittoria elettorale, rimette di fatto il suo mandato agli elettori sottoponendo la sua leadership a un referendum-trappola, con il rischio di essere costretto a rassegnare le dimissioni in caso di vittoria del «sì»? Verrebbe da pensare che l'intenzione di Tsipras sia quella di condividere con il popolo la catastrofe economica che non solo non ha arginato, ma ha peggiorato: il Pil è calato da +1,2% a +0,2% ; gli occupati sono diminuiti di 50mila unità; la spesa per consumi si è ridotta del 10%; la fuga dei capitali ha subito un'accelerazione dopo che negli ultimi 4 anni 100 miliardi di euro depositati nelle banche sono stati sottratti passando da 240 a 140 miliardi. Così come si tratterebbe di condividere le conseguenze di un accordo con la Troika che accentuerà la sofferenza della popolazione.

Se così fosse, perché i greci dovrebbero dare la fiducia a chi è stato finora incapace sia di risanare l'economia del Paese sia di raggiungere un accordo con i creditori, mentre assicura che non ha né piani né soluzioni alternative?

Un tempo essere di sinistra, addirittura di estrema sinistra, significava essere contro lo strapotere della finanza speculativa e della dittatura bancaria. Oggi Tsipras è allineato con questo regime limitandosi a supplicare un po' più di magnanimità. Si illude di poter restare a tutti i costi nell'euro ma senza i costi disumani che ciò comporta.

Anche Berlusconi e Papandreou furono fatti fuori dall'Eurocrazia nel 2011 nonostante non fossero contrari all'euro. Degli autentici colpi di stato finanziari. Forse oggi toccherà a Tsipras pagare per aver osato fare la voce grossa con la Germania del Quarto Reich.

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