Trattato come un eroe il libico che ha divulgato l'identità dei nostri 007

Tra i bersagli El Gomati, attivista di Tripoli che ha messo in pericolo gli agenti Aise. Eppure il "Fatto" lo esalta

Trattato come un eroe il libico che ha divulgato l'identità dei nostri 007

Il Fatto si mette in ginocchio davanti al nemico dell'Italia. Al quotidiano di Marco Travaglio non è parsa vera la possibilità di intervistare uno dei sette bersagli del software militare di origine israeliana Graphite, creato dalla Paragon Solution dell'ex premier Ehud Barak e venduto a due agenzie governative di intelligence italiane. Come sappiamo, il contratto con l'Italia è stato stracciato perché siamo accusati della violazione etica di aver intercettato almeno un giornalista, il direttore di Fanpage Francesco Cancellato. Ma non è chiaro quale delle 53 agenzie governative europee abbia effettivamente deciso di bersagliare questi sette attivisti italiani e altri 83 in tutta Europa con lo spyware. Se ne discuterà al Copasir martedì alle 14.30 con l'audizione del direttore dell'Aise Giovanni Caravelli.

Certamente, Husam El Gomati o El Housami non è solo «un imprenditore 35enne che vuole un futuro migliore per la Libia», come lo definisce Marco Lillo nella sua intervista, «Sono stato hackerato mentre mediavo coi servizi per liberare cinque libici», sottolinea. Ma El Housami non dice che è stato anche l'ex portavoce del ministro della Difesa libica dal 2012 al 2013, che è un collettore di notizie e dossier secreti che riguardano il nostro Paese e che lui diffonde nella sua chat Telegram a cui è possibile iscriversi con un clic, che è un propalatore di informazioni sensibili su alcuni agenti segreti italiani (tra cui lo stesso Caravelli) che hanno rischiato e rischiano seriamente la vita per queste rivelazioni. Sarà un eroe della causa libica ma per farlo ha messo a repentaglio alcuni agenti segreti italiani, dei quali ha condiviso in chat il passaporto «firmandolo» con il suo credit Husam El Gomati - come ha correttamente ricostruito Fausto Biloslavo nei giorni scorsi - ma su questo il Fatto sorvola. Eppure la chat Telegram è ancora lì nonostante il tentato hackeraggio, un importante avvocato dei diritti umani si scusa «for the inconvenience» e assicura il suo impegno per stanare i colpevoli.

Non basta. Husam El Gomati alias El Housami è al centro della diffusione di documenti che riguardano il nostro Paese, in parte manipolati, che escono dalla procura libica col chiaro intento di metterci in difficoltà con Tripoli, a vantaggio delle stesse potenze straniere - Francia, Germania e Regno Unito - che hanno giocato a rimpiattino con il capo della polizia libica Almasri mentre scorrazzava libero in Europa, sperando che il cerino restasse all'Italia, come poi è successo. Ed è El Gomati alias El Housami ad aver scattato e fatto circolare la foto di Almasri al suo arrivo a Mitiga - e se ne vanta con il Fatto - un'immagine diventata poi la foto simbolo dell'incidente diplomatico con la Corte penale internazionale.

Ma cosa c'è dietro questa guerra all'Italia in cui Housami è solo una pedina? Da un lato c'è la pressione migratoria che, a cavallo della cattura dell'ex direttore del carcere di Mitiga a Tripoli, ha visto un incremento di sbarchi in Italia (+180%), dovuto - come ha documentato il Giornale - al tentativo (riuscito) di alcune milizie militari di togliere a Tripoli il controllo del porto di Zuwara, da cui sono partiti i barchini con i 2.200 migranti arrivati in pochi giorni. Il business fa gola (da 4 a 7mila euro a clandestino) tanto che la fiammata è coincisa, non a caso, con la ripartenza del Protocollo Albania che si è infranto nuovamente sull'interpretazione della magistratura più ideologica del concetto di «Paese sicuro», in sfregio anche alle recenti raccomandazioni della Cassazione e in attesa che il 25 febbraio la Corte Ue si pronunci definitivamente sul concetto di «Paese sicuro» dove è possibile rimpatriare i non aventi diritto all'asilo che strumentalmente intasano le nostre procedure con richieste inammissibili e infondate.

Ma c'è un altro fattore che riguarda gli interessi economici del nostro Paese: i pozzi in Libia, gli stessi che secondo fonti dell'intelligence le milizie di Almasri avrebbero potuto sabotare (anche col sequestro di personale italiano) se il criminale di guerra fosse stato consegnato alla Corte penale internazionale, compreso il rischio di un assalto ad ambasciate e consolati. È dalla caduta di Muammar Gheddafi del 2011 - voluta soprattutto dalla Francia di Nicholas Sarkozy - che dopo aver aumentato la sua presenza nel Nord Africa Parigi vuol mettere le mani anche sui vasti giacimenti libici di petrolio e gas, mettendo in discussione anche la nostra sicurezza energetica nazionale. E non si può escludere che potenze e intelligence straniere armino i sedicenti ribelli libici che vogliono sabotare gli accordi Italia-Libia firmati dal Pd nel 2017 con il governo di Roberto Gentiloni. A pensar male, si capisce perché alla sinistra faccia gola il business dell'immigrazione, dalle coop che gestiscono l'accoglienza ai dirigenti dem che lucrano con il click day.

Ma se è imperdonabile che Elly Schlein, Giuseppe Conte e tutta la sinistra strumentalizzino la situazione con penose battute, è altrettanto pericoloso che certa stampa nostrana si accolli il rischio di essere collaterale, se non complice, di questo attacco criminale all'Italia.

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