Con le treccine nella foresta Sfila l'anima verde di Dior

I 165 alberi ad alto fusto in passerella verranno poi piantati in varie zone della capitale francese

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Parigi Persa nella foresta delle sue stesse ispirazioni Maria Grazia Chiuri comincia a parlare di Catherine Dior, sorella adorata di Monsieur Christian, eroina della resistenza francese, pollice verde in famiglia e bravissima floricultrice nel business, per poi buttarsi sulla sostenibilità. È in effetti l'argomento del giorno nel mondo della moda che ha da poco scoperto di essere l'industria più inquinante del pianeta dopo il settore petrolchimico. Ben venga dunque una sfilata magistralmente studiata sul fronte dell'ecologia con un fantastico set up riciclabile perché le 165 piante ad alto fusto attorno cui sfilavano le 85 modelle di Dior verranno piantumate in varie zone: dal lungosenna all'altezza della Port Solferino alla cosiddetta Base 217 del vecchio aereoporto militare di Brétigny sur Orge, a 17 miglia da Parigi.

Realizzata in collaborazione con Coloco (il collettivo di artisti e architetti del paesaggio che lo scorso anno, a Manifesta 12 Palermo, ha presentato il progetto di un giardino inclusivo per il quartierere ZEN della meravigliosa città siciliana) la foresta temporanea ha attirato l'attenzione del pubblico più dei vestiti per via del divertentissimo e super istruttivo gioco dei cartellini applicati a ogni pianta con qr code che ne raccontava storia, provenienza e destinazione.

Poi però c'è stato un ingorgo senza precedenti di macchine per rientrare dall'Ippodromo di Longchamp a Parigi paralizzata dallo sciopero generale e se proprio vogliamo dirla tutta nel backstage nessuno si è preso la briga di organizzare una raccolta differenziata dei rifiuti. Detto questo la collezione era bellissima, come sempre: la Chiuri sul fronte estetico è una garanzia. I suoi modelli in juta lavorata all'uncinetto, la danzante gonnella di raffia e tutti gli abiti in seta lavata con la stampa digitale di piante da erbario, erano semplicemente magnifici. Strepitosi anche gli accessori a cominciare dal cappelluccio da giardiniere o, secondo i casi, da spaventapasseri passando per le borse una più bella dell'altra (però l'idea della classica borsa Tote Book con il tessuto logato che sembra scolorito dal sole ci sembra un'eresia) e approdando trionfalmente nelle nuove espadrillas fatte nello stesso tessuto di questa bag che Madame Chiuri indica come esempio di sostenibilità. Belle anche le semplici camicie azzurre da contadina Bretone.

La famiglia Dior era infatti originaria di Granville, in Normandia, dove il padre aveva una fiorente industria di fertilizzanti. Con la crisi del '29 perde tutto e il trasferimento nel sud della Francia in una casa rurale a la Colle Noir non è senza disagi: per vivere Catherine coltiva piselli e fagiolini. Poi arriva la seconda guerra mondiale e la ragazza per amore entra nella Resistenza.

Nel '44 viene catturata dai nazisti, torturata e spedita nel lager di Ravensbrück. Ci resta nove mesi e alla liberazione torna a occuparsi di piante e fiori. Di tutta questa storia bella e struggente si vedono tracce nella collezione per esempio nei formidabili pullover tinti e stampati con vere piante da un'artigiana di Firenze.

Certo, la pettinatura a treccine di Greta Thunberg sulle modelle, l'hastag #plantingforthefuture,la citazione all'artista Joseph Beuys e tutto quanto insieme non rispondono alla domanda: di cosa parliamo quando parliamo di sostenibilità nella moda?

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