«Non vedevo mia mamma da quasi quattro mesi. Si aspettava un abbraccio e un bacio, a 105 anni ha bisogno del contatto fisico, ma non è stato possibile. Le misure di sicurezza sono necessarie, questo primo incontro dopo tanto tempo è stato un po' freddo ma è meglio di niente. Lei era molto felice». Esce contento dal Trivulzio anche Carmelo Luppino, figlio dell'ultracentenaria signora Giovanna, da cinque anni ospite della casa di riposo milanese. Ieri subito dopo pranzo è stato tra i primissimi parenti che sono potuti tornare a fare visita ai propri anziani, isolati dallo scoppio della bufera Coronavirus.
La riapertura ai familiari, partita ieri in una fase sperimentale che durerà dieci giorni, è stata decisa dai vertici della struttura nel tavolo tecnico del 15 giugno, accogliendo le richieste del Comitato parenti. Il Comitato storico dei familiari dei degenti, previsto per statuto, è l'unico organismo ammesso alle riunioni con la direzione del Pat. Il protocollo condiviso è il risultato delle esigenze di sicurezza di chi guida il Trivulzio e quelle, forti anche sul piano psicologico, di pazienti anziani e fragili che rischiavano di soccombere alla solitudine. Tutta la responsabilità di riaprire alle visite è sulle spalle della direzione (sotto inchiesta per il caso contagi): Regione e governo non hanno dato indicazioni in questo senso. Da qui i criteri di scelta di chi può entrare e le regole da rispettare, che sono molto rigidi.
Per ora sono ammessi solo i familiari dei ricoverati più anziani o per i quali gli psicologi hanno valutato che la visita sia particolarmente d'aiuto. In questa fase entreranno al massimo 8 persone al giorno nella sede principale della Baggina. C'è un calendario da rispettare per i prossimi dieci giorni, anche per le altre quattro strutture che fanno capo al Pat. Se a fine sperimentazione tutto sarà andato bene, il numero aumenterà gradualmente fino a 20 ingressi al giorno. Attualmente è ammesso un solo parente alla volta, dopo un triage telefonico e uno all'arrivo. Sia l'anziano sia il visitatore indossano i dispositivi anti contagio: mascherina, visiera, camice, calzari. L'incontro di un'ora al massimo avviene all'aperto, senza contatto fisico e a distanza di due metri. Sono presenti il medico e un infermiere di riferimento, che aggiornano con il parente il piano di cure. Il Comitato parenti si dice soddisfatto di questo primo passo, nonostante i paletti che rendono tutto molto difficoltoso. «Il metodo è migliorabile, ma è la fine di un incubo», spiegano i rappresentanti.
Conferma il signor Carmelo: «L'incontro è andato bene. La vestizione è stata un po' complicata e mia mamma faceva fatica a sopportare mascherina e visiera. Anche io, sono rimasto una ventina di minuti. Lei è lucida nonostante l'età e tutto sommato è in buona salute. Anche nel periodo dell'emergenza non ha avuto particolari problemi. Con noi c'erano il medico e gli animatori, sono stati bravi a gestire la situazione. La mamma ha chiesto come sempre notizie dei miei fratelli e dei nipotini. Poi mi ha detto che vuole andare dal parrucchiere per la messa in piega. Le manca, ci tiene molto. Prima ce la portavo una volta al mese. Spero di poter tornare presto da lei». Fabrizio Pregliasco, supervisore scientifico del Trivulzio per l'emergenza, ha comunicato che a oggi sono 50 su circa 800 gli ospiti positivi. Molti quindi sono guariti, ma ci sono stati purtroppo circa 350 decessi durante l'epidemia di Covid-19.
«Il primo giorno di riapertura è andato bene - sottolinea -, il sistema sembra funzionare e ho visto lacrime e sorrisi tra i parenti e tra gli anziani. Con queste modalità gli incontri sono assolutamente sicuri e speriamo di poterli aumentare gradualmente nel prossimo futuro».
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