Ue, l'Italia resta a guardare pure la partita delle nomine

Macron vuole la Merkel per evitare un tedesco alla Bce, la Cancelliera si oppone. Conte isolato

Ue, l'Italia resta a guardare pure la partita delle nomine

Su un divano i due imbucati. O, meglio, i due ospiti considerati un po' estranei e un po' indesiderati. E se Theresa May di fatto lo è, viste le sue dimissioni e l'imminente uscita della Gran Bretagna dalla Ue, altrettanto non si dovrebbe dire di Giuseppe Conte, premier di un'Italia che resta ad oggi la terza potenza e la terza contribuente europea. Nei fatti però è così. Il Giuseppe Conte tagliato fuori da ogni trattativa durante i due giorni del Consiglio Europeo è il premier di un Italia schifata come una lebbrosa e tenuta lontana da ogni trattativa.

Per capirlo basta l'immagine del tavolo dove una Angela Merkel, un Emmanuel Macron e un neofita della Ue come lo spagnolo Pedro Sanchez discutono fitto fitto con Donald Tusk, il presidente uscente del Consiglio europeo. Gli accordi per tutto quel che conta si fanno, insomma, sopra le nostre teste. E forse anche sulla nostra pelle. Certo non sono grandi accordi, né facili intese. Alla fine della 48 ore di trattative e schermaglie, condotte dentro e fuori l'Europa Building di Bruxelles, la battaglia per lo Spitzenkandidaten si è conclusa senza vincitori. O, meglio, con una sconfitta collettiva. Emmanuel Macron capofila della coalizione anti-Merkel è riuscito a far carne di porco della candidatura di Manfred Weber, il capogruppo del Ppe all'Europarlamento proposto dalla Cancelliera. Ma per farlo fuori ha fatto crollare uno dei pochi paraventi di democraticità eretti a sostegno dell'infrastruttura europea. Quel paravento, introdotto nel 2014 dalla Merkel con il pretesto di difendere la trasparenza di una nomina chiave, attribuiva al partito più votato (cioè il Ppe) la scelta del presidente della Commissione. Ora grazie a Macron, intestarditosi nel far cadere Weber, si è tornati al mercato delle vacche.

Ma quella francese non è in fondo una grande vittoria visto che assieme a Weber sono caduti anche il candidato socialista Frans Timmermans, attuale vice di Jean-Claude Juncker e Margrethe Vestager la commissaria per la Concorrenza proposta dai liberali. Quindi dopo la battaglia condotta da Merkel e Macron alla faccia degli accordi di Acquisgrana non resta che raccogliere i caduti e rinviare ogni scelta alla nuova sessione del Consiglio europeo fissata per il 30 giugno. Ma è chiaro fin da ora che la nuova sessione non riguarderà solo la nomina del presidente della Commissione, ma anche la presidenza del Consiglio d'Europa e la successione a Mario Draghi alla testa della Bce. Il piano di Macron sarebbe quello di convincere la riluttante «nemica» Merkel - che anche ieri ha ribadito il suo no - ad accomodarsi alla testa della Commissione per poi piazzare il francese François Villeroy de Galhau alla Bce. La mossa eviterebbe che la Bce cada nelle mani del falco tedesco Jens Weidmann nemico giurato delle politiche di sostegno all'Euro condotte da Draghi e strenuo difensore di quei parametri di bilancio europeo che anche la Francia di Macron sta allegramente oltrepassando.

Della soluzione l'Italia potrebbe anche dirsi soddisfatta perché la scelta potrebbe avvantaggiare anche il governo gialloverde. Ma poiché tutto questo avviene sopra le nostre teste il rischio è che alla fine il successore francese di Draghi utilizzi un doppio parametro nel valutare i peccati di Roma e quelli di Parigi. Ma quel che più angoscia Giuseppe Conte è l'ipotesi di una punizione del governo gialloverde attuata negando all'Italia la poltrona di uno dei tre dicasteri (Affari economici, Commercio e Concorrenza) che ci spettano di diritto in virtù del nostro ruolo di terzo Paese per popolazione e contributo economico.

Proprio per questo la foto preferita dal suo ufficio stampa è quella scattata tra le due e le quattro di notte nel bar dell'hotel Amigo di Bruxelles dove il premier si è unito alla discussione che già teneva impegnati la Merkel, Macron e il premier lussemburghese Xavier Bettel. Peccato che alla fine se ne sia risalito in camera senza aver in tasca alcuna garanzia sulla poltrona del futuro commissario italiano.

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