Ue, Usa, Parigi e Londra: varia la mappa del potere. Anche in casa nostra

Ora pure i partiti in Italia devono fare i conti con i nuovi equilibri internazionali

Ue, Usa, Parigi e Londra: varia la mappa del potere. Anche in casa nostra
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Con uno scenario europeo e internazionale sempre più variegato è fatale che i riferimenti all'estero anche del centro-destra si divarichino. Commetterebbe però un errore chi pensa che questo fenomeno possa mettere in crisi la maggioranza in Italia: già in passato nella coalizione di governo c'è stato chi guardava a Trump e Le Pen (Salvini), chi a Biden e ai conservatori inglesi (Meloni) e chi è sempre stato leale con la politica del Ppe (Tajani). Del resto le alleanze internazionali non sono univoche neppure nel cosiddetto campo largo nostrano: se per la Schlein la vittoria di Trump sarebbe una iattura, per non dire una tragedia, per Conte invece sarebbe come vincere una lotteria.

Gli equilibri di oggi, quindi, non saranno messi in discussione, semmai il rimescolamento internazionale potrebbe pesare sulle prospettive dei singoli partiti. Partendo, però, da un presupposto: non sempre gli sconvolgimenti elettorali nei diversi paesi provocano la risultante auspicata da questo o quel soggetto del centro-destra italiano. Ad esempio, all'indomani delle elezioni europee tutti immaginavano che l'avanzare delle destre in Europa avrebbe sconvolto i vecchi equilibri; invece, a poco a poco (ma c'è chi lo aveva capito fin dall'inizio) si è scoperto che i veri vincitori del voto europeo sono stati i popolari, sono loro che danno le carte a destra come a sinistra e per il momento puntano a garantire la maggioranza (ppe-pse- liberali) che ha governato per anni l'Unione Europea. Un discorso che potrebbe riproporsi anche in Francia: non è detto che la Le Pen raggiunga la maggioranza assoluta nel Parlamento francese nel secondo turno, visto che ora se la dovrà vedere con una sorta di campo largo (la desistenza tra macroniani e sinistra) in salsa transalpina. E, comunque, una Le Pen al governo (Meloni docet) sarà molto diversa da quella che si è vista in campagna elettorale. E stesso discorso vale anche per Trump, semmai arriverà di nuovo alla Casa Bianca, non fosse altro perché per lui sarebbe l'ultimo mandato: e non avendo la possibilità di essere rieletto una terza volta sulle decisioni di Donald il rosso peserà molto più rispetto al passato, a cominciare dall'Ucraina, l'orientamento dell'establishment di Washington. Mutazioni che Salvini, ad esempio, dovrebbe considerare fin da oggi per non avere delusioni domani.

Anche perché il contesto internazionale, con due guerre in corso, è in continua mutazione. Basti pensare a quello che molto probabilmente accadrà in Inghilterra dove i conservatori guidati da Sunak, dopo dieci anni di governo, rischiano - guardando i sondaggi - di lasciare il campo ai laburisti. E Sunak e Biden negli Usa sono le due relazioni internazionali che in questi mesi hanno aiutato non poco la Meloni.

Ecco perché in fondo la linea prudente e pragmatica che la premier sta tenendo, ad esempio in Europa, è la più pagante. Tutta la narrazione sull'isolamento della Meloni potrebbe essere catalogata come fumisteria retorica. Si sapeva fin dall'inizio che la Meloni aveva solo tre carte da giocare: il rapporto con la von der Leyen; l'eventualità che la candidata alla presidenza della Commissione europea avesse bisogno dei suoi voti (cosa che sta accadendo); il peso dell'Italia nel contesto europeo. Conoscendo gli equilibri nell'Unione, l'idiosincrasia di socialisti tedeschi e liberali francesi verso la destra anche per ragioni interne, è ovvio che il puzzle si può comporre solo con accordo non detto tra Ursula e Giorgia che garantisca all'Italia una presenza di primo piano a livello europeo. Nessuna delle due ha interesse che l'intesa sia palese: Ursula per non avere problemi nel rapporto con gli altri alleati; Giorgia per salvaguardare la propria identità. Basterà valutare che ruolo avrà Fitto in Commissione alla fine dei giochi per scoprire se quell'intesa segreta - come io penso - sia stata siglata o meno.

Un probabile epilogo che non è messo in discussione dal successo della Le Pen in Francia: se la destra francese si imporrà alla fine, uno può vederla come vuole, la Meloni avrà un alleato nel contesto europeo; in caso contrario sarà obiettivo politico dei popolari (fa parte della loro cultura) tentare di dividere le destre e aprire un rapporto privilegiato con la Meloni. Non per nulla Tajani sta facendo quello che doveva fare per facilitarlo sbarrando la strada ai verdi e rendendo i 24 voti di Fratelli d'Italia indispensabili per la von der Leyen.

Già, Tajani sta tentando di svolgere un ruolo di compensazione per salvaguardare gli equilibri interni e gli interessi italiani in Europa.

Di più non potrebbe fare anche perché alla fine si contano i voti con il pallottoliere e le destre avranno avuto anche un successo alle elezioni, ma non hanno la maggioranza nel Parlamento di Strasburgo. E alla fine in democrazia conta questo: oggi a Bruxelles, presto a Parigi e a Londra, domani a Washington.

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