Stessa mano. Stessa mattanza. Stessa promessa di ripeterla a breve. Il film dell'orrore ricomincia. E la testa della seconda vittima predestinata rotola nella sabbia. Come in un impietoso thriller il terrorismo psicopatico dei fanatici del Califfato torna a colpire. E Steven Sotloff, il 31enne giornalista americano già condannato a morte dallo Stato Islamico, subisce la stessa straziante decapitazione inflitta due settimane fa al suo collega e connazionale James Foley.
«Sono tornato Obama, sono tornato a causa della tua arrogante politica estera nei confronti dello stato islamico». L'assassino stavolta esordisce così. Come un killer seriale uscito dalla sceneggiatura di un film di serie B si rivolge al presidente degli Stati Uniti lanciandogli la stessa sfida che un maniaco indirizzerebbe ad un detective della polizia. Ma questo purtroppo non è un film. È una triste liturgia che si ripete, con la minaccia che il prossimo a essere ucciso sarà un ostaggio britannico. Ed allora ecco anche Sotloff condannare in punto di morte non il proprio boia, ma la propria patria. La sua America. L'America colpevole di averlo abbandonato al proprio destino. O peggio di averlo condannato a morte continuando a bombardare le postazioni irachene dell'Isis nonostante la promessa dei terroristi di sgozzare pure lui.
«Sono Steven Joel Sotloff. Sono sicuro che a questo punto sapete esattamente chi sono e perché appaio davanti a voi. E ora ecco il mio messaggio», declama il poveretto con il tono di chi è stato costretto buttar giù a memoria l'ultimo messaggio della propria vita. Anche perché a differenza del compagno di sventura Foley, che nel bene o male parla anche alla propria famiglia Sotloff si rivolge direttamente alla Casa Bianca. «Obama, se la tua politica d'intervento in Irak doveva servire a tutelare vite e interessi americani, allora perché ora pago con la mia vita il prezzo della tua interferenza? Non sono un cittadino americano? Hai speso miliardi di dollari dei contribuenti e abbiamo perso migliaia di uomini in precedenti scontri con lo Stato Islamico, Qual è l'interesse del popolo americano a riaccendere questa guerra?», mormora il poveretto. E anche stavolta ti chiedi perché non reagisca. Perché non tenti di morire lottando. Perché vada, pure lui, incontro al proprio destino come un incosciente agnello sacrificale. Cosa può indurre tanta rassegnazione? Cosa lo spinge ad accettare il proprio destino senza nemmeno un urlo, senza una lacrima, senza un moto di disperazione. Anche stavolta quella rassegnata disperazione farà dubitare, farà scrivere a qualcuno che abbiamo assistito a un falso, ad un'esecuzione creata ad arte. L'hanno già scritto su Foley. E stavolta alle solite fole s'aggiungono le indiscrezioni d' intelligence secondo cui Sotloff sarebbe stato in verità ammazzato lo stesso giorno del suo collega.
Comunque sia ora, due settimane dopo, ci risiamo. Anche stavolta tutto è perfetto, tutto è pulito ed estremamente curato. Anche stavolta la tuta arancione del morituro contrasta con la tunica nera del suo aguzzino e con l'abbacinante chiarore del deserto siriano. E poi c'è John. È tornato ma non occorre neanche che lo dica. Lo sappiamo. Riconosciamo l'accento del sud dell'Inghilterra, distinguiamo la stessa rivoltante familiarità con la morte, la medesima disumana indifferenza. «Sono tornato Obama - sibila - e sono tornato a causa della tua arrogante politica estera verso lo Stato Islamico, a causa della tua insistenza a bombardare la diga di Mosul, nonostante i nostri avvertimenti. Ecco, Obama, cos'hai guadagnato dalle tue azioni.. solo un altro cittadino americano. Fintanto che i tuoi missili continueranno a colpire il nostro popolo, i nostri coltelli continueranno a colpire il collo del tuo popolo». Poi tutto il resto è abitudinaria routine. La stessa dell'inserviente del macello arrivato a svolgere il proprio compito quotidiano.
Ti chiedi se mentre agita quel coltellaccio, mentre lo rigira nella gola di Sotloff, mentre cerca la giugulare e indugia tra le vertebre pensi almeno per un attimo alla madre della vittima, a quella triste smagrita disperata mamma di Steven che s'era rivolta al suo capo al Califfo Abu Bakr Al Baghdadi. Sperava in un briciolo di pietà. Ha avuto solo un altro carico d'orrore.- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.