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Un valzer alla Catalana. Indipendenza rinviata

Puigdemont annuncia: nasce uno Stato autonomo. Firma poi congela la procedura per poter negoziare

Un valzer alla Catalana. Indipendenza rinviata

È stato un mezzo colpo di scena a occupare il Parlament assediato all'interno dai giornalisti di ogni dove, e fuori dalla Policia Nacional e dai manifestatnti. Una dichiarazione edulcorata d'indipendenza, ma in forte differita e con richiesta urgente di sospensione a tempo indeterminato.

Ieri, nell'emiciclo si è bruciato un altro momento di storia catalo-spagnola. Mentre il mondo guardava con curiosità il viso ceruleo di un Puigdemont pronto al patibolo, le certezze di un rinvio crescevano in modo bipartisan. Poi, il President, rinvigorito dagli applausi dei sui, è salito sullo scranno più alto: «È un momento di dimensione storica eccezionale», l'ha presa alla larga. «Non posso rispondere né ai ricatti né agli insulti, perché tutti noi dobbiamo assumerci la responsabilità di contribuire a ridurre le tensione e a non alimentarle». È seguito l'elenco delle colpe di Madrid, partendo dai tafferugli del 1° ottobre. «Le violenze estreme della Policia, senza precedenti in Europa, non hanno impedito il voto. E le immagini dei feriti rimarranno per sempre. Ci sono persone preoccupate, colte dallo sgomento di ciò che è accaduto e che potrebbe succedere. Vediamo aziende andarsene, ma abbiamo anche la consapevolezza di volere che la nostra ricchezza di 17 miliardi di euro (le tasse pagate annualmente a Madrid, ndr), resti sul nostro territorio». Parole cui è seguita la prima ovazione. E Puigdemont ha preso il toro per le corna, citando i numeri dell'affluenza al referendum, i voti, le percentuali e il risultato: «Con il voto la Catalogna s'è guadagnata il diritto di essere uno Stato indipendente». Seconda ovazione e via verso la metà del discorso, quando dal catalano, Puigdemont passa allo spagnolo per fare più presa sul resto degli ispanofoni. «Non abbiamo nulla contro la Spagna e gli spagnoli, ma le relazioni non funzionano e non si è fatto nulla per cambiare la situazione, che è diventata insostenibile. Un popolo non può essere obbligato contro la propria volontà ad accettare lo status quo». Poi, dopo altre accuse all'esecutivo di Rajoy, Puigdemont, umettandosi le labbra, ha messo in rampa il suo missilino targato Catalunya. Ha alzato il tono di voce e con stomaco e cuore: «I sondaggi dicono Sì all'indipendenza ed è questa l'unica lingua che comprendiamo Dichiaro l'indipendenza di una Catalogna in forma di repubblica». Terzo boato sugli stucchi liberty del Palacio del Parlament. E subito il freno doveroso. «Chiedo, tuttavia, che il parlamento la sospenda per qualche settimana per cercare di aprire il dialogo». Uno stop che ha confermato le idee di tanti e ucciso il sogno della «rivoluzione fai da te» di alcuni, perché, leggendo tra le righe, Puigdemont ha chiesto a Madrid e all'Ue un qualsiasi aiuto per trattare e non procedere verso uno scontro più grande e drammatico di quanto si aspettasse.

Immediata la risposta di Madrid che ha dichiarato inammissibile e nulla «l'implicita dichiarazione d'indipendenza contenuta nel discorso del Presidente della Comunità autonoma di Catalogna», parole istituzionali che oggi saranno addolcite da Rajoy in parlamento.

Carles Puigdemont, ieri, era entrato al Parlament catalano verso le 17.10, con quasi un'ora d'anticipo. Dopo avere partecipato a una riunione col gruppo «Junts per Sì» (uniti per il Sì), incontro non previsto dalla tabella di marcia. Poi, era rimasto nel suo ufficio, senza rilasciare dichiarazioni. Un primo indizio che una scollatura si stava verificando all'interno del tripart di maggioranza. E mentre il portavoce comunicava un ritardo di almeno un'ora dell'atteso intervento al Parlament, era già iniziata una nuova seduta nell'ufficio di Presidenza con tutti i capigruppo dei partiti, tra cui la Cup (Candidatura d'Unitat Popular), il partito della sinistra indipendentista alleata al Governo, che da giorni stava dando segni d'inquietudine, davanti a un raffreddamento della fiamma secessionista. Un malumore che è culminato, ieri sera, trenta minuti prima della comparsa in parlamento di Puigdemont, quando la sinistra secessionista ha chiesto di non presenziare nell'emiciclo, temendo per una «Dui» (dichiarazione unilaterale di indipendenza) simbolica, come poi è avvenuto. C'era il rischio di non avere più la maggioranza all'emiciclo e nella testa di Puigdemont ormai albergava la volontà di chiedere ai catalani e a Madrid un aiuto per ritardare il treno della secessione.

Dopo il discorso in aula e gli interventi la dichiarazione di indipendenza catalana «sospesa» ha ottenuto 72 voti su 120. Oltre a Puigdemont il testo è stato firmato dal presidente del Parlament, Carme Forcadell, e dal vice di Puigdemont, Oriol Junqueras.

Il testo prevede che si venga a creare «una Repubblica Catalana quale Stato indipendente e sovrano» ma allo steso tempo prevede «l'apertura di un negoziato con lo Stato spagnolo per definire un sistema di collaborazione per il beneficio di entrambe le parti».

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