Tutta colpa dell'Ingegnere: Giuseppe Conte, come è comprensibile, ha preso malissimo lo sberlone arrivato ieri mattina dal quotidiano Il Domani, che raccontava i suoi «affari segreti» con pezzi da novanta dell'establishment imprenditoriale italiano (quelli che i grillini usavano chiamare «prenditori» e su cui scagliavano anatemi terribili), le laute consulenze, i rischi di conflitto di interessi.
L'ex premier ha letto e riletto la lunga inchiesta del quotidiano fondato da Carlo De Benedetti, ha pensato e ripensato e poi ha vergato un lungo post sul suo medium preferito, Facebook, per replicare. La prosa contiana, come al solito ampollosa e azzeccagarbugliesca, si dilunga nello spiegare come l'articolo sia «diffamatorio» e i suoi non siano «affari» ma normale «attività professionale da avvocato civilista». Poi arriva la zampata velenosa: «Gli affari li concludono gli imprenditori» come l'editore di Domani De Benedetti: «Da presidente del Consiglio non mi sono mai concesso il piacere di incontrarlo privatamente, pur sollecitato varie volte a farlo. Ma come lei sa mi sono dovuto dedicare a tempo pieno ai bisogni del popolo, di qui la rinuncia di cui l'ingegnere mi sta ripagando amabilmente». Ecco: non è chiaro di quali «bisogni del popolo» (si spera non fisiologici) l'ex premier fosse intento ad occuparsi, ma di certo l'articolo che lo colpisce nasce, a dire di Conte, da una vendetta di De Benedetti, che - come una maliarda respinta dall'integerrimo gentiluomo che tentava di sedurre - reagisce a suon di colpi bassi. Attaccato per non aver ceduto alle avance dei poteri forti: così Conte - che pure, alla testa di due diversi governi in tre anni, qualche contatto anche ravvicinato coi poteri forti lo ha avuto - tenta di uscire dall'imbarazzo.
Un imbarazzo politico e d'immagine, che non ci voleva in un momento particolarmente delicato per chi sta tentando di assumere la guida di un partito in sfacelo, ed è immerso fino al collo nel pasticcio senza uscita delle faide grilline e delle demenziali regole interne. Perché se è probabile che non ci sia niente di illecito nelle prestazioni passate dell'avvocato Conte, come nota lo stesso Domani, resta il fatto che «i comportamenti e le relazioni non sembrano somigliare molto a quelli dell'homo novus senza macchia descritto dalla propaganda M5s». Quel Conte che venne descritto al popolo grillino come «una perla rara», uno «tosto che si è fatto tutto da sé» da Di Maio, quando ne annunciò l'arruolamento come ministro, e poi l'upgrade a premier. Del resto Di Maio fu il primo ad accorgersi, masticando amaro, che il modesto avvocato pugliese dal curriculum ritoccato era in realtà molto più introdotto di lui nei vasti sottoboschi del potere romano, e capace di galleggiarci agevolmente da solo, proprio grazie alle reti pazientemente tessute negli anni.
Quel che più faceva impressione, ieri, era il silenzio di gran parte dei vertici grillini (Di Maio in testa) davanti all'imbarazzante tegola caduta sull'aspirante leader M5s. Solo nel tardo pomeriggio (e, raccontano, dopo un certo ansioso pressing del solito Rocco Casalino e dintorni) qualcuno ha iniziato a spendere due parole a difesa di Conte, denunciando il tentativo di «delegittimazione ad orologeria» (Crimi), perché «è chiaro che Conte leader di un M5s rinnovato incute timore» (Baldino).
«Hanno paura che la sua missione riesca» (Gubitosa). «Dà fastidio a molti, quindi lo infangano» (Taverna). La tesi difensiva di Conte è trasmessa tramite Crimi: gli «editori impuri» lo attaccano perché M5s ha presentato proposte contro il conflitto d'interessi. Sarà.
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