Vent'anni senza Gianni. Diciannove senza Umberto. Fine degli Agnelli, quelli veri, autentici. Dopo di loro, il diluvio. Oggi, gennaio ventiquattro del duemila e tre, si concludeva la vita avventurosa, affascinante, privilegiata, esclusiva, insomma l'avventura di Gianni Agnelli, detto l'Avvocato, con la vocale maiuscola per distinguerlo da qualunque altro dottore in legge, professione da lui mai frequentata. L'agiografia è grandiosa, i racconti sono diventati libri, film, documentari, probabile un progetto di fiction, Gianni Agnelli è stato per gli italiani, non tutti, quello che Elisabetta II è stato per gli inglesi, quasi tutti. Regnante senza corona, però sovrano e monarca di una dinastia centenaria che, nel prossimo luglio dovrebbe celebrare appunto il secolo di possesso e di proprietà di una squadra di football, la Juventus. Agnelli ha rappresentato il sogno degli yuppies, il desiderio di milf, cugar e signorinelle pallide, ha vissuto la vita dolce e la dolce vita, ha avuto donne mille ma nessun amore, sentimento che, secondo lui, riguarderebbe soltanto le cameriere. La moglie, Marella Caracciolo, è stata il controllore di volo di questo aristojet, passeggero e pilota del mondo ma profondamente legato alla terra di origine, Villar Perosa e Torino. Il vej Piemont, il bicierìn al bar della Consolata, quell'aria sabauda che si è smarrita nelle nuove tendenze che hanno anche lucidato il capoluogo dalla sua nebbiosa quotidianità. L'esistenza abbagliante ma elegante dell'Avvocato si era improvvisamente spenta il quindici di novembre del duemila, suo figlio si era suicidato lanciandosi da un ponte, Gianni Agnelli, accompagnato dal questore di Torino, arrivò sul luogo, appoggiandosi al bastone, il volto di cera, bianco il colore del viso, bianchissimi i capelli, il riconoscimento di Edoardo fu come l'atto di dolore a smascherare il senso di colpa. Restano quelle immagini, come le altre riservate agli ultimi giorni, nel silenzio rispettoso per la malattia che ormai aveva preso il sopravvento, Vennero mille e mille e mille di più, alla veglia, il popolo torinese, operai e impiegati, una nera folla in corteo non per manifestare contro il padrone, no, la lotta di classe era stata messa da parte, c'era da omaggiare l'uomo che, in fondo, aveva contribuito a mantenere la fabbrica, dunque il lavoro, nonostante la crisi, nonostante le scelte imprenditoriali sbagliate dai collaboratori, Romiti fra questi. Lo stesso Cesare Romiti volle restare in piedi per tutta la funzione funebre, così aveva imparato dallo stesso Gianni Agnelli che in chiesa manteneva la posizione eretta, forse anche per distinguersi. Di certo, come suo fratello Umberto, l'araldica si è come fermata in quei due anni, duemila e tre e duemila e quattro, quasi il segno del destino a unire, a distanza breve, i due veri punti di riferimento di una grande grandiosa famiglia. La narrazione prese a riportare aforismi e vicende private, l'agnelliade anche romanzata e non verificabile però testimonianza di una figura diversa, totalmente, dal resto dei teatranti sulla scena italiana, politici e imprenditori. Lo stesso tono, elegante e colto, con il quale Gianni Agnelli si rivolgeva agli astanti, potevano essere capi di governo, giornalisti o calciatori, provocava il piacere accompagnato dal sorriso, non sempre cortigiano. Lo divertiva svegliare, con una telefonata all'alba i conoscenti, quando lo fece con Michel Platini fu messo in fuori gioco dal francese: «Buongiorno, stava dormendo?» «Non ancora», replicò Michel e fu come l'inizio di una affinità imprevista. Era di una vanità mai esibita ma sempre ricercata, sua nipote Priscilla, figlia di Susanna e Urbano Rattazzi, lo fotografò più volte, uno scatto, nel ranch argentino Los Cardos, nel 1978, ritrae lo zio in camicia denim, appena sbottonata, i capelli svolazzanti, lo sguardo, fingendo sorpresa, era però attento alla posa: è il ritratto più vero e riassume il portamento, lo stile e l'astuzia ricercata dell'uomo più importante. Vent'anni dopo, si assiste alla ricerca di un segreto mai svelato, dell'aneddoto mai raccontato.
In verità non si ammette che in quel giorno di gennaio, così come nel maggio del duemila e quattro, si concluse la storia degli Agnelli, nel nome di Gianni e di Umberto e con loro il tramonto di un'epoca irripetibile, non soltanto per quella famiglia.
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