Il vero dilemma sul Recovery: più lavoro o pensione per tutti

Le risorse possono favorire la crescita dell'occupazione. Ma il governo studia l'ennesima riforma previdenziale.

Il vero dilemma sul Recovery: più lavoro o pensione per tutti

Altro che dilemma tra sussidi, tagli fiscali e investimenti. La vera questione centrale per l'impiego delle risorse del Recovery Fund riguarderà lavoro e pensioni. La maggioranza giallo-rossa dovrà, infatti, operare una scelta tra l'ampliamento del numero di occupati oppure supolitiche che puntano sulla previdenza pubblica come ammortizzatore sociale.

La difficoltà della situazione l'ha spiegata proprio ieri l'Inps con tre diverse comunicazioni. Nella prima ha spiegato che il saldo annualizzato delle posizioni di lavoro, vale a dire la differenza tra i flussi di assunzioni e cessazioni negli ultimi dodici mesi, ad aprile ha raggiunto quota -679mila. Il dato è allarmante per i contratti a tempo determinato (-499mila), ma preoccupa anche il trend delle nuove assunzioni che nei primi 4 mesi dell'anno sono crollate del 39% a 1,39 milioni. Quello che non è stato perduto lo si deve all'esplosione della cassa integrazione (2,2 milioni di ore, +798%) che, congiuntamente al blocco dei licenziamenti, ha salvato la maggior parte dei posti di lavoro a tempo indeterminato. E anche il decreto che il governo si appresta a varare il mese prossimo con lo scostamento di ulteriori 25 miliardi prevedrà che circa un terzo delle risorse sia impiegato per estendere di altre 18 settimane la cig e bloccare i licenziamenti, salvo che per i casi di cessazione dell'attività. Circostanza confermata ieri dal ministro del Lavoro Catalfo.

«Non appena finirà il pannicello degli ammortizzatori sociali, saranno a rischio anche i dipendenti. Partiamo potenzialmente in autunno dalla perdita di un milione di posti di lavoro che, grazie al Recovery Fund, possiamo recuperare», ha commentato Marco Fortis, docente della Cattolica, sottolineando che «le infrastrutture sono la prima priorità, vanno fatte con criteri di efficienza». Una lettura ottimistica se si considera che il Rapporto Pmi di Confindustria vede addirittura 1,8 milioni di posti a rischio nelle imprese a corto di liquidità.

Ma tutto questo impone una riflessione sulla destinazione delle risorse. Il presidente del Centro ricerche Itinerari previdenziali, Alberto Brambilla, ha ricordato che «i trasferimenti dello Stato agli enti previdenziali per l'assistenza è salita nel 2019 a 114 miliardi dai 74 miliardi del 2008» e che «il 57% delle entrate totali viene destinato alla spesa sociale». In un'analisi dello scorso maggio ha ricordato come, a causa della pandemia, che i 50mila pensionamenti con quota 100 previsti prima del Covid per il 2020 potrebbero ora raddoppiare e un analogo flusso potrebbe ripetersi l'anno prossimo. Il che significherebbe ipotecare almeno 7-8 miliardi all'anno tra quota 100, uscite anticipate con 42 anni di contribuzione, Ape social e Opzione donna. L'esatto contrario di quello che richiede la Commissione Ue nella valutazione dei piani presentati dai singoli Paesi. Certo, nel primo semestre 2020, ha sottolineato L'Inps, le pensioni di vecchiaia hanno superato quelle anticipate, ma il futuro potrebbe riservare sorprese in quanto alcuni lavoratori potrebbero preferire la decurtazione dell'assegno prevista dalle uscite in anticipo rispetto all'incertezza della permanenza in azienda.

E su questo punto si aprirà il confronto tra governo e parti sociali della prossima settimana: l'obiettivo è studiare soluzioni per risparmiare senza far scattare lo scalone della Fornero (67 anni e 35 di contributi) nel 2022.

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