Spari all'impazzata, studenti in fuga da tutte le parti ed un acre fumo nero della battaglia, che esce dall'edificio dove erano tenuti in ostaggio gli studenti cristiani di Garissa. E su tutto le urla «Allah è grande», come hanno raccontato i sopravvissuti della mattanza in Kenya, costata la vita a 147 persone. Il video amatoriale sul sanguinoso attacco di giovedì dei terroristi somali al Shabab mostrano caos e panico durante l'attacco durato 13 ore.
L'aspetto più orribile è che i poveri studenti universitari venivano «selezionati» in maniera ferrea, per cercare i cristiani da uccidere con un colpo alla nuca o decapitare, come avevano fatto nel precedente attacco ad un grande magazzino di Nairobi. Lo scorso febbraio i tagliagole somali hanno addirittura confezionato un video sulla strage del 2013, con proclami del defunto Osama bin Laden, che spiega: «Dopo la prima fase dell'attacco i mujaheddin hanno attuato un processo di selezione per dividere i non islamici dai musulmani». Secondo il terrorista narratore «serviva a salvaguardare l'inviolabile sangue dei musulmani». Così «i mujaheddin mantengono un alto livello morale» ammazzando solo i cristiani. La stessa lucida follia applicata all'università di Garissa, dove le vittime sono state costrette a pronunciare la shahada , la professione di fede islamica per dimostrare di essere un vero musulmano. Chi non conosceva le parole chiave «non c'è altro Dio che Allah e Maometto è il suo profeta» era condannato automaticamente a morte. A Garissa, una studentessa, si è cosparsa il corpo con il sangue dei suoi amici uccisi fingendosi morta. Le sofferenze dei cristiani perseguitati hanno segnato anche il rito della via crucis al Colosseo. Il Papa non ha usato mezze parole: «Vediamo i nostri fratelli perseguitati, decapitati e crocifissi per la loro fede in Cristo, sotto i nostri occhi o spesso con il nostro silenzio complice». Un silenzio complice che sembra un atto d'accusa: «Nel tuo corpo ferito, squarciato, vediamo quelli che sono sfigurati dalla nostra negligenza e dalla nostra indifferenza».
«Il Kenya vivrà altri attacchi mortali» è intanto la minaccia giunta ieri da Ali Mohamud Rage, portavoce degli al-Shaabab. «Non ci sarà alcun luogo sicuro per i kenioti, fintanto che il Paese manterrà le sue truppe in Somalia», ha dichiarato il terrorista ai microfoni di radio Al Andalus, vicina al gruppo, riferendosi ai soldati presenti a Mogadiscio con l'Unione africana. Nella capitale somala ci sono anche una settantina di militari italiani, che si occupano di addestramento. Sulla costa keniota si temono nuove stragi. La Farnesina ha invitato ieri gli italiani alla «massima prudenza» anche in zone turistiche, ma a rischio, come Mombasa e Malindi. Fra i 9 ricercati per la strage di Garissa c'è pure Ismael Shosi Mohamed, della cellula del terrore di al Shabab a Mombasa. Il ministero degli Esteri italiano invita «a limitare gli spostamenti, evitando luoghi di culto, edifici pubblici, eventi sportivi e, nei limiti del possibile, l'utilizzo dei trasporti pubblici».
La caccia al cristiano è da tempo tremendamente reale, come i terroristi somali hanno minuziosamente spiegato dopo l'attacco che è costato la vita a 67 persone nel 2013 a Nairobi. I tagliagole «avevano raccolto la gente (obiettivo dell'attacco, nda) facendo domande sull'Islam, che un musulmano non può non conoscere» hanno sostenuto i terroristi con tanto di comunicato. «Poi gli islamici potevano andarsene», si legge nella spiegazione dell'attacco.
«I mujaheddin hanno preso ogni meticolosa precauzione per separare i musulmani dai kuffar (gli infedeli, nda ) prima di iniziare» la mattanza. Gli al-Shabab precisano, però, che qualsiasi occidentale «era un obiettivo legittimo».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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