Si fa presto a dire centrodestra, ma quale? All'indomani delle amministrative che hanno segnato il crollo del Pd, in Forza Italia torna l'antico dibattito su quale sia il modello vincente e la risposta rimane distante dal lepenismo barricadero, con estremismi, toni alti e fiaccolate. Se a Padova crolla il sindaco leghista dai toni molto duri con i migranti, accanto alla Liguria che vince e convince con la sua novità, c'è il modello Lombardia come capitale di un centrodestra più moderato, ora anche nei Comuni, che prima del voto erano praticamente tutti governati dalla sinistra.
Ai ballottaggi in Lombardia il centrodestra ha vinto in 17 città: otto sindaci di area Forza Italia, otto della Lega e uno di Alleanza popolare. E soprattutto, ha vinto in tutti e tre i capoluoghi di provincia: Monza e Como, di area Forza Italia, e Lodi, guidata dalla Lega. E poi a Cantù, Erba, Abbiategrasso, Magenta, Legnano, Desenzano Del Garda, per fare ancora qualche nome.
In campo azzurro, si può considerare un successo personale di Mariastella Gelmini, che ha battuto tutta Italia per la campagna elettorale, ma da coordinatrice regionale di Forza Italia ha per così dire esportato un modello consolidato in loco e anche un po' ereditato da tante campagne con il Matteo Salvini vecchio stile: con un gruppo di giovani emergenti, gli azzurri sono andati fra la gente, nelle piazze, nelle periferie, nei mercati, nei quartieri, ascoltando direttamente e in piccoli gruppi bisogni, aspettative e problemi delle persone. Una campagna in cui ha giocato un ruolo anche Paolo Del Debbio, professore universitario, ex assessore di Albertini e volto tv, che si è speso sia a Sesto che a Monza e Como.
«Vince un centrodestra unito, largo e di governo - è il commento ai risultati della Gelmini -. Unito perché gli elettori vogliono vederci diversi dalla sinistra che litiga su tutto e cade nella guerra delle poltrone. Largo perché in alcuni comuni, come a Monza, l'apporto di Alternativa popolare è stato importante. Di governo perché a Genova, come in Lombardia con Roberto Maroni, viene riconosciuto al centrodestra di avere una cultura di governo, cioè la capacità di fare e non solo di proporre programmi, di realizzare obiettivi sulla base dei quali si viene eletti».
Insomma, secondo Gelmini una versione riveduta e corretta della «politica del buongoverno» che era stata travolta dalla storia degli ultimi anni. E un ritorno a un modello misto, una sinergia tra il centrodestra unito e il civismo. Non a caso una delle città lombarde che, pur non essendo capoluogo, cadendo ha fatto molto rumore, è stata Sesto San Giovanni, praticamente confini di Milano: la ex Stalingrado d'Italia, per usare un soprannome vecchio che continua a rendere bene l'idea, passa al centrodestra dopo 72 anni, sia grazie a un candidato giovane, il trentanovenne azzurro Roberto Di Stefano, che si è laureato mantenendosi agli studi come operaio, che all'intesa con il polo civico di Gianpaolo Caponi, area cattolica.
A livello nazionale serve una federazione? «Se non c'è spazio per una lista unica, rimane il dovere dell'unità della coalizione, di un centrodestra unico con Ap. Sta a loro scegliere» risponde Gelmini.
E che ne pensa del successo di Toti? «Ha fatto un ottimo lavoro in Liguria, così come Zaia in Veneto e Maroni in Lombardia. Ricordiamo i risultati nazionali: 16 capoluoghi di provincia e 63 Comuni in tutta Italia vinti dal centrodestra».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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