«Io non ho intenzione di andarmene ma continuerò a difendere la libertà». Così disse nove anni fa Silvio Berlusconi ai suoi deputati e sostenitori davanti a Palazzo Grazioli, la sua dimora romana di allora. E così è stato. Non solo non se ne è andato, ma ieri è tornato al Senato, da cui era stato cacciato con un estremo vulnus alla democrazia parlamentare.
Non si era mai vista prima l'esecuzione politica di un leader che aveva servito il suo Paese come capo del governo per il tempo più lungo nella storia italiana. Messo alla porta dal Parlamento che avrebbe dovuto difenderlo ieri Silvio Berlusconi è tornato al Senato poco dopo mezzogiorno, per le operazioni burocratiche che attendono ogni eletto. Era lo stesso uomo che nove anni fa era stato messo alla gogna. Per trovare un precedente bisogna tornare a Cicerone, anche lui cacciato dal Senato, costretto all'esilio e alla perdita dei suoi beni, ma che tornato vittorioso al suo scranno dette prova di un decoro senza enfasi: «Heri dicebamus», furono le sue prime parole in aula dopo anni di assenza: «Ieri stavamo dicendo...» come se il tempo fra il prima e il dopo fosse stato cancellato. Ma il caso della persecuzione contro il senatore Berlusconi è ideologico: fu travolto da una campagna di odio senza limiti né decenza. Ieri non è tornato al Senato soltanto un ex senatore, ma l'ultimo presidente del Consiglio che abbia governato col pieno sostegno dei voti. Fra pochi giorni un altro presidente eletto assumerà quello stesso incarico e sarà Giorgia Meloni che di Berlusconi fu la più giovane ministra. Dal 2011, quando fu forzato alle dimissioni da una campagna molto simile a una congiura ad oggi, si sono succeduti alla guida del governo uomini variamente illustri come Mario Draghi, Mario Monti, giovani politici come Matteo Renzi che non era ancora membro del Parlamento ma solo un ex sindaco di successo e segretario di un partito che poi ha abbandonato con disgusto, per arrivare ai governi macchietta dell'avvocato Conte buono per tutte le stagioni e totalmente sconosciuto alla politica.
Berlusconi ha vinto. È stato forte come una quercia e non si sa chi glielo abbia fatto fare se non il suo senso e spirito di servizio visto che avrebbe potuto mandare al diavolo tutti e ritirarsi a vita privata tra gli affetti e il comfort. Invece, ha resistito sia alle malattie che alle ingiurie, persino alla violenza di un esaltato che gli fratturò il naso lanciandogli un oggetto di ferro per non dire dei sessanta processi finiti nel nulla salvo uno assolutamente privo di logica per evasione fiscale. Le intercettazioni e le confessioni di alcuni giudici hanno poi messo in mostra l'architettura politica dei processi contro l'uomo che con un colpo di reni raccolse le bandiere cadute della Prima Repubblica per fermare il colpo di mano che aveva fatto fuori tutti i partiti, salvo quello comunista candidato alla successione.
Fu il invece il suo successo, con quell'operazione temeraria, guascona, spavalda e vincente che gli valse un tributo di odio e rancore infiniti che oggi si estinguono soltanto perché la generazione di coloro che lo avrebbero voluto politicamente morto, si è estinta. Una nuova generazione è diventata adulta senza sapere che cosa sia stata la guerra incivile dell'antiberlusconismo rabbioso di quasi tutte le sinistre.
Quasi, perché il più straordinario risultato dell'operazione con cui Berlusconi creò Forza Italia e la sua vittoria fu il terremoto nelle sinistre orbitanti intorno al vecchio Pci con una fuga di intellettuali e di militanti socialisti e comunisti perché il berlusconismo ebbe l'effetto di liberare energie che attendevano una prospettiva liberale per uscire allo scoperto.
Tutto questo è storia e ieri l'uomo del sogno dell'«Italia che vorrei» ha varcato di nuovo la soglia del Senato dopo quella del Parlamento europeo. Aspettiamo di vedere se anche lui come Cicerone nel suo primo discorso dirà con noncuranza qualcosa che riconnetta il passato col presente, qualcosa come «Ieri stavamo dunque dicendo...».
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