«Torna a casa finché sei in tempo», gli avevano scritto su Facebook i primi di aprile. Perché lui, nato in Russia ma cresciuto in Italia, in Ucraina a combattere c'era andato per scelta. «Essere nato in uno stato non significa farne parte. Sono nato in Russia ma non sono russo. Combatto con le forze armate ucraine», postava convinto Ivan Vavassori, ex calciatore di 29 anni, figlio adottivo dell'imprenditore piemontese Pietro Vavassori e di Alessandra Sgarella, la giornalista di Domodossola che nel 1998 venne sequestrata nella Locride e rimase prigioniera per nove mesi della 'Ndrangheta, per poi morire di malattia nel 2011.
Ivan si è arruolato nell'esercito di Kiev come volontario nelle brigate internazionali. Ogni tanto manda qualche aggiornamento sui social, posta foto delle atrocità commesse dalle truppe di Mosca, scrive commenti, posta video su TikTok per raccontare le sue missioni. Poi ieri, su Instagram e Facebook, è scattato l'allarme. «Ci dispiace informarvi che la scorsa notte durante la ritirata di alcuni feriti in un attacco a Mariupol, due convogli sono stati distrutti dall'esercito russo. In uno di questi c'era forse anche Ivan, insieme con il quarto Reggimento. Stiamo cercando di capire se ci sono sopravvissuti», hanno scritto i gestori delle sue pagine social. Poi, per fortuna, la notizia che sarebbe ancora vivo e anche il suo team. Stanno cercando di tornare indietro, ma sono circondati dalle forze russe e non si sa quanto tempo ci vorrà. Nell'attacco sono morte 5 persone e 4 sono rimaste ferite, ma non si conoscono i loro nomi. Ore di angoscia per la famiglia, che comunque dopo l'ultimo messaggio ha potuto tirare un respiro di sollievo. In attesa di notizie più precise dal fronte.
Sui social Ivan si definisce «guerriero del Signore», oltre che «duro di testa e difficile da gestire». Talmente duro da decidere di unirsi all'esercito ucraino per combattere contro la Russia, suo Paese d'origine. Combattere per la libertà. Dopo aver ottenuto il benestare dell'ambasciata di Kiev, l'ex calciatore è entrato a far parte della «Legione di difesa internazionale Ucraina», diventando il «comandante Rome». Partendo per Kiev, aveva ricordato l'estrema difficoltà nella quale si sarebbe trovato ad operare. «La nostra - aveva scritto - sarà una missione suicida perché abbiamo pochissime unità contro un intero esercito, ma preferiamo provare. Quel che importa è morire bene, soltanto allora inizia la vita». Fino al 2017 Vavassori aveva giocato a calcio in serie C. Era un portiere e aveva indossato le maglie del Bra, Pro Patria e Legnano. Aveva fatto anche un'esperienza in Bolivia, con il Real Santa Cruz. Poi la decisione di appendere gli scarpini al chiodo. «Il sogno del bambino di diventare campione del mondo o giocare con grandi giocatori finisce qui. Ora è tempo di pensare al mio futuro come uomo e più come padre. È tempo di creare il futuro sicuro che darò a mia moglie e ai miei figli. Un capitolo della mia vita si chiude per accoglierne un altro», aveva scritto. Quando è scoppiata la guerra, la decisione di scendere in campo. Su Facebook aveva postato l'annuncio del consolato generale d'Ucraina a Milano per chi aveva intenzione di arruolarsi. «È una decisione difficile, però può salvare delle vite. Non li lasciamo da soli», il suo commento. Nell'ultimo video su TikTok raccontava i dettagli dell'ultima missione. «Abbiano recuperato materiali e attrezzature radio importanti per le comunicazioni e anche un veicolo utilizzato per intercettare aerei, che i russi erano riusciti a prendere. Non ci sono state perdite.
Alla fine abbiamo deciso con la mia squadra di fare qualcosa di più, perché non ci sentiamo coinvolti come vorremmo nel conflitto. Ci stacchiamo dal reggimento ed entriamo completamente nel territori russo per fare missioni di salvataggio. Per qualche tempo quindi non avrete mie notizie perché sarò dietro le linee nemiche».
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