Il primo passo è stato inserire il riferimento esplicito al Partito popolare europeo nel simbolo di Forza Italia che sarà sulla scheda elettorale, per gli azzurri una novità che dal lontano 1994 non ha precedenti e che ha il chiaro obiettivo di rimarcare lo stretto legame con il Ppe. D'altra parte, non è un mistero che due dei tre partiti che compongono la coalizione di centrodestra alimentino per ragioni evidentemente diverse qualche dubbio in alcuni interlocutori internazionali. Ha un senso, dunque, che Forza Italia si proponga come una sorta di garante, proprio in nome del solidissimo rapporto che - ormai dal 1998 - ha con i Popolari europei. Così stretto che mercoledì il presidente del Ppe, il tedesco Manfred Weber, sarà a Roma. Una visita, spiega Antonio Tajani, che ha l'obiettivo dichiarato di «sostenere la campagna elettorale di Forza Italia». Weber incontrerà Silvio Berlusconi a villa Grande, da qualche tempo la sua residenza romana. Poi avrà un faccia a faccia forse seguito da una conferenza stampa con Tajani, che è coordinatore azzurro ma anche uno dei vicepresidenti del Ppe. E, infine, vedrà Lorenzo Cesa, leader dell'Udc, l'altro partito italiano affiliato ai Popolari europei.
Insomma, un endorsement a tutti gli effetti. Che ha l'obiettivo di ribadire la vocazione europeista di Forza Italia e, di conseguenza, del centrodestra. Quando mercoledì Weber dirà che il Ppe sostiene a tutti gli effetti gli azzurri tanto da autorizzarli ad usare nel simbolo la dicitura Partito popolare europeo lo farà infatti nella consapevolezza che, in caso di successo, Forza Italia andrà al governo con FdI (che a Bruxelles aderisce ai Conservatori riformisti) e, soprattutto, con la Lega (che fa parte del gruppo Identità e democrazia insieme al Rassemblement national di Marine Le Pen e ad Alternative für Deutschland, partito di estrema destra che strizza l'occhio ai negazionisti dell'Olocausto).
Il Ppe, dunque, guarda con grande interesse alla tornata elettorale italiana. Dopo le pesanti sconfitte in Germania e Francia, infatti, i Popolari sono al governo in solo sette dei 27 Stati membri: Austria, Cipro, Croazia, Grecia, Lettonia, Lituania e Romania. Insomma, nessun Paese di peso, peraltro esprimendo il premier solo ad Atene e Zagabria. Non un dettaglio, perché tutte le decisioni che si prendono in Europa passano comunque per il Consiglio dei capi di stato e di governo (o per i ministri competenti) che - come è per esempio accaduto su due pacchetti di sanzioni alla Russia - può bloccare tutto. Insomma, non essere adeguatamente rappresentati nei governi nazionali è per il Ppe un problema. Che una vittoria del centrodestra in Italia potrebbe alleviare.
In prospettiva, poi, il voto del 25 settembre ridisegnerà gli equilibri politici nel nostro Paese. E il Ppe - in vista delle europee del 2024 - si guarderà certamente intorno, perché uno dei principali obiettivi è restare il gruppo parlamentare più consistente in Europa (oggi conta 182 parlamentari contro i 154 dell'Alleanza socialisti e democratici). La Lega un processo di avvicinamento al Ppe - poi congelato - l'aveva intrapreso qualche anno fa, nel 2019. E chissà che non voglia e possa riprenderlo anche grazie ai buoni uffici di Berlusconi. Diversa, invece, la posizione di Fratelli d'Italia. Che, però, negli ultimi anni - grazie al lavoro di Raffaele Fitto - si è ritagliato un ruolo all'interno del gruppo Ecr, tanto che due anni fa Giorgia Meloni è stata eletta presidente del partito dei Conservatori e riformisti europei. Che con il Ppe sta tenendo un rapporto di grande collaborazione.
Al punto che lo scorso gennaio il gruppo Ecr (e quindi FdI) ha contribuito con i suoi voti a far eleggere presidente del Parlamento europeo la maltese Roberta Metsola (Ppe). Un sostegno che i Popolari hanno molto apprezzato, tanto da dare il via libera alla nomina a vicepresidente del Parlamento Ue del lettone Robert Zile, esponente proprio dei Conservatori di Ecr.
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