Zelensky aspetta la "troika". Ma su forniture e ingresso Ue teme progressi troppo timidi

Che ci vanno a fare? La domanda sarà anche inopportuna, ma non lo è più dell'opaca incertezza che avvolge la missione di Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz attesi domani a Kiev dal presidente Volodymyr Zelensky

Zelensky aspetta la "troika". Ma su forniture e ingresso Ue teme progressi troppo timidi

Che ci vanno a fare? La domanda sarà anche inopportuna, ma non lo è più dell'opaca incertezza che avvolge la missione di Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz attesi domani a Kiev dal presidente Volodymyr Zelensky. Certo la solidarietà a un Paese invaso è cosa buona e giusta. Esaurita la retorica ci si chiede, però, quale sia l'aiuto concreto che la troika europea può garantire all'Ucraina. Di certo non gli aiuti militari indispensabili, secondo Kiev, per arginare un'offensiva russa che - stando al sottosegretario alla Difesa Usa Colin Kahl - potrebbe non fermarsi al Donbass, ma puntare a un'altra «parte significativa del Paese». Anche per questo gli ucraini guardano più al vertice di Ramstein, dove si riunisce oggi il gruppo di contatto sull'Ucraina a guida statunitense, che non alla visita dei tre leader europei.

Difficile dar loro torto. Nonostante le affermazioni di principio il premier italiano, il cancelliere tedesco e il presidente francese sono ben lontani dal marciare su una linea comune. Nonostante la promessa di fornire a Kiev obici semoventi e carri Leopard, Scholz non ha, a oggi, inviato una sola arma pesante. Riuscendo nell'impresa di promuovere all'improbabile ruolo di superpotenza un'Italia pronta a metter a disposizione blindati leggeri, obici, mortai da 120 millimetri e missili anticarro. Un'Italia che in linea con l'atlantismo di Draghi sarebbe anche disposta a far di più, ma non dispone degli arsenali necessari a soddisfare Kiev. La Francia, unica vera potenza militare europea, non è sembrata, fin qui, molto più generosa. I 12 obici Cesars partiti da Parigi assieme a un numero imprecisato di missili anticarro Milan restano ben lontani dalla richiesta di 1.000 obici, 300 lanciarazzi multipli, 500 carri armati, 2.000 blindati e 1.000 droni indispensabili, secondo il consigliere presidenziale Mykhailo Podolyak, per fermare l'avanzata russa. Quantitativi che solo il gruppo di contatto a guida statunitense potrebbe, anche se sembra ugualmente improbabile, mettere a disposizione.

Un gruppo di contatto a cui si appella il consigliere presidenziale Andriy Yermak sottolineando l'«importanza della forza per raggiungere la pace» e chiedendo la fine del compromesso «con coloro che ricorrono alla violenza». La voglia di armi di Kiev fa, però, intuire le incognite di una missione europea che rischia di venir liquidata come insoddisfacente nonostante la presenza dei suoi tre leader più rilevanti. La sfiducia di Kiev è, in parte, comprensibile. La promessa di una veloce entrata nella Ue è stata contraddetta in primis da Macron che dopo aver pronosticato un iter decennale ha proposto l'ingresso di Kiev in una non meglio definita «comunità politica europea». Idee non lontane da quelle di Scholz deciso pure lui nell'escludere qualsiasi «scorciatoia» per l'Ucraina. Posizioni confermate lunedì da una Commissione europea che ha ribadito la necessità di rispettare i termini d'ammissione.

Messe da parte le discussioni sulle armi e sull'entrata in Ue ai tre leader non resterà dunque che tentar di vendere a Kiev una soluzione per superare il blocco delle esportazioni di grano. Ma anche qui la strada è stretta.

Le eventuali mediazioni turche o israeliane ben difficilmente smuoveranno il vero «deus ex machina» della questione ovvero un Cremlino deciso a non far uscire una sola chiatta dal porto di Odessa se l'Occidente non annullerà le sanzioni. Anche la partita del grano rischia, insomma, di non dipendere dagli sforzi dei tre leader europei, ma dal ben più incerto e imprevedibile risultato finale della guerra.

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