Via Poma, il processo 20 anni dopo il delitto

Via Poma, il processo 20 anni dopo il delitto

In aula arriva con la moglie, che non ha mai smesso di credere alla sua innocenza. Soprattutto ora che è arrivata la prova più difficile, quella del processo che lo vede imputato per l’omicidio di Simonetta Cesaroni- «Sono contento di avere una moglie così forte accanto», dice Raniero Busco nell’aula bunker della III Corte d’Assise il giorno della prima udienza. Sono passati 20 anni dalla morte dell’allora impiegata dell’Associazione alberghi della gioventù uccisa con ventinove coltellate il 7 agosto del ’90 nell’ufficio in cui lavorava, in via Poma. All’epoca Busco era il fidanzato di Simonetta e uscì indenne dalla prima inchiesta, dopo un interrogatorio durato 12 ore e qualche verifica sull’alibi fornito. Soltanto nel 2007 il suo nome venne iscritto nel registro degli indagati. Gli accertamenti scientifici, resi possibili dalle moderne tecniche di indagine, hanno infatti individuato il suo dna in una traccia di saliva sul reggiseno della vittima. E poi l’analisi di un morso sul seno sinistro di Simonetta, coincidente con l’arcata dentaria di Busco, ha convinto i magistrati che era necessario approfondire la posizione di quel giovane ormai sposato e con due figli gemelli.
«Facciamo questo processo dopo quasi 20 anni. Celebrarlo è un dovere dello Stato», esordisce il pm Ilaria Calò, che ha ereditato l’indagine dal collega Roberto Cavallone, il primo magistrato ad intestardirsi su questa pista fino al momento di lasciare la Procura di Roma. Parla poco Busco, in aula. «Tranquillo? È una parola grossa», dice ai cronisti che lo assediano. Più loquace sua moglie, Roberta Milletarì. «Sono arrabbiatissima per questa vicenda, ma molto combattiva. Negli ultimi tre anni siamo stati massacrati, mi auguro che oggi sia l’inizio della fine. Non abbiamo paura, non ci dobbiamo nascondere da nulla, la verità verrà fuori. È l’innocenza che ci fa andare avanti».
É una donna a presiedere la giuria, Evelina Canale, affiancata da Paolo Colella come giudice a latere. Poi ci sono i sei giudici popolari. Toccherà a loro valutare le prove scientifiche (le tracce biologiche trovate sugli indumenti della vittima, quelle ematiche, gli accertamenti medico-legali e odontoiatrici) e quelle documentali, tra cui le registrazioni delle dichiarazioni rese nel ’90 dai familiari di Simonetta in tv, la relazione sull’esame autoptico e i provvedimenti con i quali furono archiviate le posizioni dei primi indagati, il portiere Pietrino Vanacore e il giovane Federico Valle, che abitava nel palazzo del delitto. Il processo potrà essere ripreso dalle televisioni. Per la Corte, infatti, c’è un «rilevante interesse sociale alla conoscenza di questo dibattimento». «Ci apprestiamo a questo processo con la serenità dell’innocente», dice l’avvocato Paolo Loria, legale di Busco.

«Oggi non si parla più di supposizioni, ma di un imputato, di un’istruttoria dibattimentale avviata alla luce del sole in cui ci sarà una progressiva acquisizione di prove che dovranno sostenere o contraddire l’accusa», commenta l’avvocato Lucio Molinaro, parte civile per la madre e la sorella di Simonetta. La prossima udienza, il 16 febbraio, toccherà a loro parlare. Prime testimoni di un lungo elenco: 84 per il pm e 26 per la difesa.

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