Porta Romana, tra i rifugiati anche clandestini

Hanno varcato il cancello di ingresso - al civico 7 di piazza Trento - alle 5.30 di ieri mattina. Ventitré poliziotti e 25 agenti della polizia locale sono entrati nell’ex scalo di Porta Romana, accompagnati da due interpreti. Obiettivo: rintracciare e identificare i circa duecento extracomunitari - per la maggior parte rifugiati politici - che negli hangar delle Ferrovie dello Stato hanno costruito le loro baracche. Colti di sorpresa nel sonno, e un po’ spauriti, i cittadini africani si sono messi in fila sul piazzale dei binari per sottoporsi al censimento. Hanno mostrato documenti di ogni genere: dalle carte di identità italiane (rilasciate a coloro che hanno già beneficiato dei programmi per i rifugiati politici) ai fogli dattiloscritti consegnati loro dai carabinieri, che nel corso di questi tre anni sono puntualmente entrati nello scalo per controllare la situazione.
Nessun momento di tensione durante l’operazione, solo molta preoccupazione, soprattutto da parte dei 160 cittadini africani con i documenti di identità in regola. Ma loro - fanno sapere i responsabili di Palazzo Marino - non saranno mandati immediatamente via, potranno continuare a vivere negli hangar in attesa che l’Ufficio stranieri del Comune completi l’identificazione. «Chi ha titolo per restare in Italia, come rifugiato politico o richiedente aiuti umanitari, sarà accolto nei nostri centri - spiega l’assessore comunale ai Servizi Sociali, Mariolina Moioli -. Successivamente entrerà nei programmi di integrazione, che prevedono corsi di italiano e sostegno nella ricerca di un posto di lavoro». Sono stati portati in questura sul bus della Polizia, invece, gli otto clandestini scoperti nel gruppo. Per loro, dopo l’identificazione, potrebbe scattare il rimpatrio nei Paesi di origine. Nel complesso, gli agenti hanno controllato 168 persone, fra loro solo tre donne. Novantatré arrivano dall’Eritrea, 30 dal Sudan, 14 dalla Somalia, 13 dall’Etiopia, 4 dalla Costa d’Avorio, uno dal Burkina Faso.
Il prossimo passo sarà ripulire l’ex scalo, nel quale i cumuli di immondizia accatastati sia all’interno sia all’esterno degli hangar stanno creando allarme igienico-ambientale. Il Comune ha già chiesto al prefetto di intervenire per sollecitare le Ferrovie dello Stato, proprietarie del terreno. «L’edificio - promette il vicesindaco con delega alla Sicurezza, Riccardo De Corato - sarà prossimamente liberato. Milano sta procedendo, grazie alla perfetta collaborazione con la Prefettura, a passo spedito verso il totale smantellamento delle occupazioni abusive. Un obiettivo che verrà perseguito senza tentennamenti, perché l’esigenza di sicurezza è inderogabile».
Resta da capire, a questo punto, in quale centro di accoglienza saranno ospitati i rifugiati. Al momento i posti sono carenti, ma l’accoglienza è temporanea, è quindi probabile che progressivamente la disponibilità cresca. «Decideremo entro due settimane - dice Giancarla Boreatti, responsabile del settore Adulti in difficoltà e stranieri -. Sicuramente lo scalo sarà chiuso prima che il caldo estivo peggiori la situazione. In passato abbiamo collocato i rifugiati di viale Forlanini e via Lecco. Adesso cercheremo di risolvere anche questa emergenza». Che nasce da lontano, sulle coste assolate di Lampedusa. «È lì che approdano tutti i rifugiati africani - continua -. Dopo una prima fase di accoglienza, vengono al Nord. La maggior parte di loro ha già cercato inutilmente di lavorare o di trasferirsi in un altro Paese dell’Unione europea». Ecco perché, solo a Milano, sono circa 500 i rifugiati politici accolti.

In tutta Italia ne arrivano ogni anno circa 12mila, a fronte di quattromila posti disponibili nei centri di accoglienza. «Dove crede che finiscano queste settemila persone? - conclude la Boreatti -. Vengono qui da noi».

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