Il Prc: governo di tecnici? E chi li vota...

Russo Spena: gli industriali vogliono mettere le mani sul gettito extra. Diliberto accusa: aberranti gli imprenditori in politica

Il Prc: governo di tecnici? E chi li vota...

da Roma

Chi trova un amico trova un tesoro. Chi trova un nemico, a volte, trova un «tesoretto». Nel senso che il primo piano dello scontro, banalmente di trincea, tra Luca Cordero di Montezemolo e la sinistra (Prc, Sd, Pdci, Verdi) sta nella certezza che il presidente di Confindustria non possa ancora mirare al bersaglio grosso, ma si accontenti di esercitare una moral suasion sul governo Prodi alle corde, con sponde in Margherita (più occultatamente nella Quercia). È questa la trincea che riempie di «inquietitudine» Franco Giordano, che «sente parlare di segnali di disponibilità, di permeabilità nel Partito democratico» a una «piattaforma che prova a unificare tutte le forze che hanno al centro il tema dell’impresa». Detta in soldoni, con il capogruppo prc al Senato, Giovanni Russo Spena, Montezemolo «punta al tesoretto», ovvero al potere di «condizionare pesantemente il governo su temi decisivi come le pensioni o la destinazione del tesoretto».
Eppure sarebbe fuorviante ridurre la polemica e i timori della sinistra nei confronti di LdM (il cognome in spiccioli del presidente Fiat) a questo scontro di trincea, alla crisi della politica ormai evidente a tutti, a un’impresa che riempie il vuoto di proposta, all’«aberrazione degli imprenditori in politica», per usare il linguaggio un po’ vetero di Oliviero Diliberto. Il nemico è nemico, e che cosa si può desiderare di meglio se non che esso indossi l’abito del «nemico di classe»? Un invito a nozze, visti i tempi che corrono, e visto che l’attacco più palese LdM l’ha riservato a Bertinotti, anche se chi è uscito da Confindustria con le ossa rotte è stato Prodi e il suo governicchio.
È da questa considerazione che occorre partire, per comprendere come paradossalmente il gioco di LdM possa far comodo a una sinistra in cerca di identità. Considerata la fragilità di Prodi, essa rischierebbe il tonfo con la fine anticipata della legislatura, mentre un «governo tecnico» consentirebbe ai «cantieri» di ricostruire la sinistra persino avendo nel capitalismo rampante un nemico forte e dichiarato. Questioni di egemonia, e non è un caso che Bertinotti negli ultimi tempi insista su «una reinterpretazione della concezione gramsciana di egemonia».
Il presidente della Camera intrattiene ottimi rapporti personali con LdM (corso ad abbracciarlo, l’altro giorno, dopo l’attacco dal palco). Soprattutto con il suo uomo più fidato, Maurizio Beretta, con il quale si sente spesso al telefono. Si può così dare per scontato che Bertinotti si attendesse da Montezemolo ciò che è accaduto: essere additato come «nemico numero uno» dell’impresa rampante, per le sue considerazioni sull’«impresentabilità» degli imprenditori italiani. Specularmente, a una «Rifondazione della sinistra» corrisponde oggi la «Rifondazione della Repubblica sul modello dell’impresa», come l’ha tratteggiata ieri su Liberazione la senatrice Rina Gagliardi, molto vicina al Fausto-pensiero. «Mai il capitalismo è stato così totalizzante, così assoluto, così estremista», scrive la Gagliardi. La logica d’impresa sostituita al lavoro e alla politica, espressioni del popolo. Ed è per questo che la risposta a LdM può essere racchiusa nelle dichiarazioni che Bertinotti ha rilasciato tra ieri e l’altroieri, subito dopo aver lasciato l’assemblea confindustriale. Quando a Firenze ha esaltato l’Arci e la sua «grande storia i cui protagonisti sono le tante e i tanti, anche senza cognome noto: una storia collettiva fatta dal popolo». Perché la politica si deve riformare «organizzando la società civile contro l’imbarbarimento, il primato del mercato e la riconduzione delle persone a merce», valorizzando invece «la persona e la comunità». Cambiare cioè «le culture prevalenti nel Paese, secondo una concezione positiva dell’egemonia di cui parlava Gramsci». Riscoprendo, nel politico che abbia uno «spessore», persino la sua componente «attoriale» e il suo rapporto diretto con il popolo, così evidente nella «desueta» arte del comizio.

Perché infine, fa sapere Bertinotti a LdM e ai suoi «migliori», tra «la democrazia e un surrogato è meglio la democrazia». E i tecnici possono certamente «candidarsi a governare: basta che prendano i voti del popolo». La zazzera fluente di Montezemolo, quanti voti porta? Emoziona cuori e menti degli elettori come il cavallino Ferrari?

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